Fino ad un paio settimane fa, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il problema principale era di cominciare a quantificare l’effetto sull’economia del combinarsi di diversi fattori, tutti convergenti verso la revisione al ribasso (si sperava contenuta) delle prospettive di crescita dell’economia: l’aumento del costo dell’energia e di diverse materie prime, oltre che dell’inflazione. Ora, in poche settimane, il quadro è cambiato profondamente: all’impatto dei fattori già noti, cui il Governo ha provato a far fronte con dei decreti anti-rincari, va ora ad aggiungersi il costo diretto e indiretto della guerra in Ucraina, che va ad aggravare proprio l’impatto delle variabili relative all’energia e all’inflazione.
Il risultato è che a fronte di una stima di crescita che fino a qualche settimana fa si poteva ragionevolmente stimare tra un 3 ed un 4% (dopo il promettente rimbalzo del 6,6% registrato lo scorso anno), ora le previsioni vanno riviste. Rischiamo una nuova recessione?
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, tenta di essere rassicurante quando afferma che quello in corso è certamente un “rallentamento” dell’economia, ma che al momento non vi è il timore che si ritorni in recessione. Sono all’esame diversi scenari, tutti legati a una domanda: quanto durerà la guerra in Ucraina?
Un primo scenario più ottimistico prova a stimarne l’impatto, nel caso in cui si manifesti una via di uscita da qui alle prossime settimane. In questo caso, certamente occorrerà rivedere al ribasso le stime di crescita per l’anno in corso e con ogni probabilità per il prossimo, ma ci si potrà limitare a un massimo di uno/due punti di Pil, scontando lo 0,7% di minore crescita già ipotizzabile per effetto di un’inflazione che viaggia già oltre il 5 per cento. Se l’aumento del Pil a fine anno si attestasse sul 2-2,5%, sarebbe comunque un buon risultato.
Un secondo scenario, meno incoraggiante, si basa su un cessate il fuoco che avverrebbe a distanza di qualche mese. Questo secondo scenario, imporrebbe un’ulteriore e più marcata revisione al ribasso delle stime di crescita, che comunque resterebbe con il segno positivo alla fine di quest’anno.
Il terzo scenario vede allontanarsi drasticamente nel tempo la soluzione della crisi, e comporta questa volta il rischio reale di una nuova recessione. In questo caso si materializzerebbe lo spettro della stagflazione, in presenza di un’economia in recessione e di alti livelli di inflazione che nello scenario più pessimistico volerebbe attorno all’8-10%. Tassi di incremento dei prezzi di questa portata comporterebbe un ritorno agli anni Settanta del secolo scorso, quando l’inflazione viaggiava a due cifre per effetto prevalente delle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979.
Non è possibile al momento (sia pure a livello di sola ipotesi), escludere che un tale scenario si realizzi.
In tutti gli scenari, la risposta europea sarà determinante poiché non è minimamente ipotizzabile che il nostro Paese possa farvi fronte da solo. Se si arrivasse a concertare strumenti comuni, e comunque una strategia di breve/medio termine per ridurre il livello di dipendenza dell’economia europea dal gas russo, l’impatto inflattivo risulterebbe più contenuto.
Marco Vantini