Quel gol fece tremare il muro di Berlino. Lui si chiamava Jurgen Sparwasser, onesto attaccante del Magdeburgo. Quel gol fu una delle prime crepe. Era il 22 giugno 1974, la prima volta in un mondiale, tra la Germania dei ricchi e la Germania operaia. Il sorteggio s’era divertito a inserirle nello stesso girone. Con loro, il Cile e l’Australia. La grande Germania di Muller e Beckenbauer non aveva mai incontrato i “cugini” poveri dell’Est.
NON SOLO CALCIO. Non era solo una sfida sportiva, non poteva esserlo. C’erano di fronte due mondi, divisi appena da un muro, ma lontani anni luce. C’era, anche, la presunzione del Kaiser e dei compagni, favoritissimi per il Mondiale. E c’era, di fronte, la modestia di una “squadra di stato”, privata di fantasia e libertà. La Stasi vigilava, non solo sul calcio. Una squadra orgogliosa, comunque. Sapeva di essere inferiore, ma aveva dentro l’orgoglio di chi arriva a un passo dal cielo e prima di scendere le vuole provare tutte. La Germania Ovest aggredì, fin dal via. Con quel filo di supponenza che hai quando ti senti superiore. Gli altri, tutti semiprofessionisti, calciatori operai, giocava soprattutto per la gente: 1780 tifosi, arrivati dall’est grazie un permesso speciale. Infiltrati, tra loro, più o meno 200 agenti dei servizi segreti comunisti.
L’ASSEDIO. La partita? Muller e soci all’attacco, il bomber colpì un palo, ma lo 0-0 pareva scritto. In fondo, poteva andr bene a tutti. Alla squadra del Kaiser, che sarebbe rimasta al comando del gruppo. Alla DDR, che avrebbe difeso il secondo posto e avrebbe passato, imbattuta, il turno. Poi arrivò Jurgen Sparwasser, che beffò Vogts, Hottges e il grande Maier e infilò a rete. Uno di quei gol che vanno dritti dalla cronaca alla storia, anche se Sparwasser non poteva saperlo. La sconfitta esaltò la DDR e fu un colpo basso per i “cugini”, che pure volarono a vincere il Mondiale, cancellando così quella macchia e quel “disonore”.
UN SIMBOLO. La Germania Est uscì presto, ma Sparwasser divenne un simbolo, ben oltre quello che lui stesso avrebbe voluto. Un eroe nazionale. Rifiutò persino il Bayern di Monaco. Un infortunio lo obbligò a smettere presto, 31 anni. Laureato in ingegneria, divenne assistente ricercatore alla scuola superiore di Magdeburgo, ma la Stasi vigilava sul “simbolo”, sulla sua famiglia. La moglie era già dall’altra parte del Muro, la figlia l’aveva seguita. Lui le raggiunse dopo un’amichevole di “vecchie glorie”, in Germania Ovest. Lo accusarono di tradimento, ma lui resta l’eroe. Quel gol fece tremare il Muro…
Raffaele Tomelleri