Per arrivare in Crimea, gioiello del Mar Nero, dall’Italia basterebbero poco più di due ore d’aereo. Invece, a causa delle sanzioni imposte alla Russia dall’Unione Europea, Mosca è diventato il punto di scalo obbligatorio, per noi come per chiunque al mondo voglia raggiungere la penisola. Dalla capitale, per giungere al nuovo e moderno aeroporto di Simferopoli – il più vicino a Jalta – ci vuole un’altra ora e mezza. Da qui, per visitare la città della pace siglata da Churchill, Stalin e Roosevelt, servono un altro paio d’ore d’auto. Bruxelles, in accordo con gli Stati Uniti, nel 2014 ha deciso di rendere quanto più difficile possibile la vita a chi con un referendum dall’esito schiacciante, 94% i favorevoli, ha deciso democraticamente di staccarsi dall’Ucraina per tornare sotto la vecchia madrepatria. L’Ue non ha riconosciuto l’esito della consultazione e ha deciso di colpire Putin. A pagare le conseguenze di questi provvedimenti però sono le aziende, i cittadini e i turisti. Alla Russia le sanzioni sono già costate più di 50 miliardi di dollari. Duecento, all’Europa. L’export italiano, la stima è di Confindustria Russia, perde 10 milioni al giorno. I dazi su carne, formaggi e salumi, secondo Coldiretti, hanno mandato in fumo un miliardo e mezzo. A complicare le cose, dicevamo, in Crimea ci si mettono anche altri tipi di problemi. Ormai non è più possibile pagare i conti nei ristoranti e nei negozi con carte di credito occidentali. Funzionano solo quelle russe. Il cellulare non prende e per non restare isolati dalla civiltà bisogna affidarsi al wifi dell’albergo. Il motivo? L’Ue non vuole che questo territorio intriso di cultura e dal clima mediterraneo riesca a diventare un’ambita metà di vacanza, coi relativi lauti guadagni. Eppure il governo russo ha da poco annunciato che per incentivare il turismo in un paio d’anni creerà una sorta di Las Vegas chiamata “Grande Jalta”: casinò, locali di lusso, piscine. Promenade Lenin, sul lungomare di Jalta, è un brulicare di gente di ogni età. Gli anziani chiacchierano guardando il mare seduti sulle panchine. I ragazzi bevono l’aperitivo nei bar alla moda, come il “Geneva”, dove campeggia una grande insegna dello champagne Moët&Chandon. Luciano, un ragazzo sulla trentina che deve il suo nome alla passione dei genitori per Pavarotti, ha fiducia: «Sotto l’Ucraina non c’era futuro, ora pensiamo in grande, l’Europa capirà che sta sbagliando. Spasiba, spasiba (grazie)». Bambini giocano a rincorrersi sulla spiaggia, c’è ancora un bel tepore. Le mamme li tengono d’occhio dal pontile su cui si erge un grande ristorante a forma di nave. Un negozio vende cappelli “Stetson”, marca americana, piuttosto costosa. Vicino all’ingresso un vecchio suonatore d’armonica intona O sole mio. A.G.