Raccontaci un po’ della tua storia: come e quando sei arrivata a Verona?
Sono arrivata a Verona a marzo del 2006. Sono passati 16 anni da quando vivo qui, e posso solo dire che è una città meravigliosa, sono stata accolta come chiunque, ho trovato tutto: amore, lavoro. Non ho nulla di negativo da dire. La mia esperienza è positiva.
Qual è la storia del tuo rapporto con la cucina?
Prima di arrivare in Italia mangiavo, sì, ma mangiavo per nutrirmi, per soddisfare un bisogno “animale”. Mi sono poi trovata in Italia dopo molti anni – perché ci sono voluti mesi e mesi di integrazione – e ho scoperto che non si dovrebbe mangiare solo perché si ha fame. Qui tante volte si esce a cena, a pranzo, o per un semplice aperitivo, e lo si fa per il piacere di stare in compagnia, per ritrovare quel piacere nel degustare o mangiare qualcosa di particolare.
Rispetto al rapporto col cucinare invece: cucinavi sin da piccola?
Prima di arrivare in Italia era più un obbligo, qualcosa che dovevo fare. Da dove vengo io già da bambine ci insegnano a cucinare e fare altre cose. Ci responsabilizzano già da piccolissimi. Quindi ho imparato quando ero molto giovane, ma è stato in Italia che ho imparato a cucinare come si deve (metodi di cottura, tecniche di alta cucina, etc). In Africa si mangia per nutrirsi, tutto deve essere molto appetitoso, molto gustoso, quindi non c’è una ricerca così meticolosa delle materie prime.
Il tuo primo libro di ricette è uscito il 15 marzo e si chiama “Soul Kitchen”: da dove viene questo titolo?
Soul Kitchen significa “La cucina dell’anima”: in una delle interviste durante il mio percorso a Masterchef ho detto che non mangio per nutrire il corpo, ma per nutrire l’anima. Mangiare per me va ben oltre il cibo: per esempio quando usciamo al ristorante magari ci capita di essere già sazi dopo il primo, eppure continuiamo a mangiare perché andiamo alla ricerca di qualcosa di più profondo, qualcosa di più spirituale. E poi quando mangiamo liberiamo endorfine, che sono gli ormoni della felicità. E in quel momento quindi non conta più la fame, conta la felicità che ci dà il cibo, l’esperienza del cibo…e questa è una cosa molto italiana! In pochi paesi esiste questa cultura del cibo.
La tua emotività e la gestione delle tue emozioni nel percorso di crescita dentro Masterchef che ruolo hanno giocato?
Il mio percorso è stato molto intenso dal punto di vista emotivo, anche perché prima di Masterchef io non sapevo di essere così sensibile ed emotiva. Nella vita di tutti i giorni, per tanti motivi, ho sempre cercato di sopprimere quella parte di me. All’interno del programma, per la prima volta, mi sono sentita libera di essere me stessa a 360°: si è vista una Tracy che piange, una Tracy che balla, una Tracy che parla molto. Sono stata me stessa, ho capito che essere emotivi non significa essere deboli: posso fare qualsiasi cosa!
Martina Bazzanella