Raffaele Tomelleri
Racconta che a volte, qualche giorno più che in altri, gli verrebbe voglia di scendere dal suo trattore, di lasciare i suoi campi e riprovare il gusto della panchina. “Perchè – dice Nevio Scala – quel calcio esiste ancora, da qualche parte. Non può essere scomparso, anche se tutto ci fa credere di sì”. Quel calcio, il suo calcio. Fatto di uomini prima ancora cheda calciatori. Fatto di emozioni, non di numeri. “Ma via, chi crede ancora alle favole dei numeri? 3-5-2, 4-3-3, 4-4-2, sono cose per i giornalisti, per chi ci vuole credere. No, una squadra è fatta prima da uomini, gli schemi, i numeri, arrivano dopo. Molto dopo”. E’ stato così il suo Parma, in fondo noi favole così le conosciamo bene. Perchè abbiamo vissuto il Verona di Bagnoli e poi anche il Chievo di Delneri. Squadre che a ripensarci, ti vengono i brividi. Com a lui, se pensa al Parma, gli vengono ancora gli occhi lucidi. “Vedi – racconta – il bello è trovare la gente di Parma. Ti fermi a parlare e ti dice “grazie”, non solo perchè hai vinto, ma per come lo hai fatto. Per quello che s’era creato, per quello che quel gruppo ha rappresentato per anni. Il calcio vero, fatto di semplicità e di umanità. Allenamenti aperti a tutti, si viveva in mezzo alla gente, ci si divertiva a stare assieme. Un gruppo di amici, prima che di grandi giocatori”. E lui, a guidare quel gruppo di sogni. “Ragazzi – diceva nei primi giorni di ritiro – se noi impariamo a pensare alla squadra, prima che a noi stessi, siamo già a metà del cammino”. E racconta di Benarrivo e Di Chiara, di Grun e Zoratto e di “quel matto di Asprilla”, “perchè in una squadra ci sta anche un po’ di pazzia”. Lui, che ha vinto dappertutto, in Germania e in Russia, lui che ha lanciato un certo Buffon, lui che s’è ritirato nelle campagne di Noventa, casa sua, non smette di crederci. “Dobbiamo tornare indietro, a un calcio più umano. Oggi, basta che un bambino faccia due palleggi e urlano al “nuovo Messi”. Oggi, non c’è più equilibrio, non c’è più emozione. Allenamenti a porte chiuse, interviste a comando, droni che registrano l’allenamento, il calcio al computer… Io non ho mai mandato a vedere come giocava l’avversario. E non per presunzione, perchè ho sempre cercato che la mia squadra facesse il suo calcio, non si adattasse a quello degli altri”. Scuote la testa, agita le sue mani grandi, “da contadino, orgoglioso di quello che faccio”. Guarda il calcio dal suo trattore e dice che no, “…questo calcio non gli manca”. Ma forse sono quelli come lui che mancano al calcio…