Dice che il tempo è passato invano. Aggiunge “purtroppo”. Lui è Maickel Ferrier, sì, il “manichino” che venne appeso in curva al Bentegodi. Era il 28 aprile ‘96, si giocava il derby, Verona-Chievo. Per la cronaca, finì 1-0, gol di Totò De Vitis, ma quella partita passò alla storia per tutta un’altra faccenda.
“Quando vidi il manichino appeso in mezzo ai tifosi capii che non potevo restare al Verona, che non mi avrebbero mai accettato”. Lo ha detto Ferrier, in un’intervista rilasciata a Tuttomercatoweb. “E pensare che mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Avevo 19 anni, avevo appena firmato un contratto di tre anni, un sogno giocare in Italia, magari in serie A”.
Il manichino e poi gli striscioni. E i cori: “Il negher portalo in cantier” rivolto a Eros Mazzi. Il presidente era Stefano Mazzi. Il giorno dopo, fosse stato per lui, l’avrebbe preso e annunciato alla gente. “Ma capimmo che non era il caso” aggiunge Ferrier. “Così, assieme a Mino Raiola, il mio procuratore, e alla società, decidemmo di cambiare aria”.
Ferrier non arrivò mai al Verona. Giocò nella Salernitana, nel Catania, un’onesta carriera. Veniva dal Volendam, originario del Surimane. “Vent’anni dopo vedo che certe cose accadono ancora, sono successe anche in Olanda, comunque. Mi spiace, perchè il razzismo è una brutta storia e tutti dovrebbero combatterlo. Certo, mai avrei pensato che vent’anni dopo saremmo stati ancora qua a parlare di questo. Cori ironici? Magari per qualcuno era ironico anche quel manichino nero…”