Sono i tiranni a dover temere i popoli E non viceversa: è quanto emerge dal “Discorso sulla servitù volontaria” di de La Boetie

Girovagando per le librerie può capitare di imbattersi in un libello che, in una delle sue edizioni italiane principali e più diffuse, reca in copertina l’effigie della maschera di Guy Fawkes. Questa scelta, sicuramente efficace a livello commerciale, può sorprendere chi conosca il contenuto del libro stesso. Il libro in questione è il Discorso sulla servitù volontaria del filosofo francese Étienne de La Boétie, morto a trentatré anni nel 1563. Amico fraterno di Montaigne, che ne pubblicò le opere, egli è ricordato dall’autore degli Essais in una delle lettere che questi invia al padre, e che ne ripercorre gli ultimi momenti prima della morte, durante i quali La Boétie lascia una sorta di testamento spirituale.
Il Discorso sulla servitù volontaria è forse più famoso del suo autore, data la fama e le riprese che l’hanno interessato presso il pensiero libertario e le istanze anche anarchiche dei secoli successivi alla sua stesura. Il titolo alternativo dell’opera, Contro Uno, denuncia la prospettiva del suo autore: una prospettiva contraria al dominio monarchico, che però La Boétie vede come germinato e legittimato dall’autonoma alienazione della libertà da parte dei popoli. La sovranità assoluta è tale soltanto perché concessa – sebbene in modo non esplicito e quasi incosciente – da parte dei popoli. La Boétie declina questa idea, che può sembrare vagamente vicina a una visione contrattualistica della genesi dello Stato, sebbene presenti differenze notevoli rispetto a questa dottrina che sarà, tra gli altri di Hobbes, nel senso di un allontanamento da uno stato di natura in cui gli uomini vivono in una condizione di amicizia. L’amicizia è il concetto cardine, tutto politico, sul quale si focalizza la proposta ultima del Discorso sulla servitù volontaria, e che, non a caso, sarà ripreso e ampliato in modo originale proprio da Montaigne in uno dei suoi saggi più celebri.
L’amicizia ha un valore politico, anche nella ripresa montaigneana, in quanto riesce a rendere l’uomo più di se stesso, a rendere gli uomini uni e uniti – al plurale, un insieme di individui che mantengono la propria specificità in uno stato di comunione, ossia all’interno di una società. D’altra parte, La Boétie espresse anche in altri opuscoli la propria aspirazione a una tolleranza, soprattutto religiosa, viste le contingenze storiche che interessavano la Francia nel periodo in cui gli toccò vivere – è il caso dei Mémoire sur l’edit de Janvier.
Ma, oltre la complessità storica e filosofica della figura di questo pensatore molto giovane, conta sottolineare lo spunto di riflessione che le sue idee inducono: una meditazione sulla natura e sui limiti della sovranità, e sul fatto che sono i sovrani – o i tiranni – a dover temere i popoli, e non viceversa, visto che senza il consenso – esplicito o implicito – del popolo, il sovrano non ha alcuna legittimità a governare.
Non si è necessariamente servi per il fatto di alienare il potere; ma è sempre opportuno considerare che la difesa della propria libertà passa necessariamente dalla consapevolezza del fatto che è essa alla base del potere, e non viceversa.

EffeEmme