Solo alla fine l’uomo toglie la maschera Ognuno di noi indossa una “corazza” per difendersi, per proteggersi. Poi, il momento...

Leon Battista Alberti è principalmente noto per i suoi lavori in ambito artistico e architettonico, e per la sua attività teorica confluita nei trattati De pictura e De re aedificatoria. Da uomo poliedrico quale era, tuttavia, Alberti è anche filosofo, autore di importanti opere che rendono conto di una sfaccettatura dell’Umanesimo italiano meno luminosa e ottimistica rispetto all’immagine restituita da buona parte della storiografia filosofica.
Tra le opere più interessanti di Alberti vi è senz’altro il Momus, racconto delle avventure del semidio Momo tra il celeste degli dei, la terra e l’oltretomba. Personaggio mitologico già ampiamente messo in scena da Luciano di Samosata in età antica, Momo è una figura decettiva, ingannatrice, ambigua, alla ricerca, nell’opera di Alberti, di approvazione da parte di Giove, al quale fornisce un breviario del comportamento del buon principe che anticipa un genere letterario assai diffuso nella prima età moderna e a cui risponde anche, pur nelle sue peculiarità, il Principe di Machiavelli. Ciò che, principalmente, rende la figura del Momo albertiano di grande interesse è la sua spiccata consapevolezza riguardo alla natura mutevole e ingannatrice del mondo sociale che lo circonda – un tema, questo, che torna anche in alcune delle pagine più profonde delle Intercenali, raccolta di racconti filosofici di Alberti.
Momo è un protagonista tragico, che si scontra con le insidie della fama in un mondo che vive di simulazione, di finzione e di menzogna. Di fronte a questo panorama desolante, Momo intuisce che è necessario armarsi e al contempo proteggersi, assumendo un atteggiamento dissimulatorio e, di fatto, indossando una maschera.
Il tema della maschera è, infatti, centrale nel Momus, e il pensiero corre, quasi inevitabilmente, alle opere molto posteriori di Pirandello. Ogni uomo indossa una maschera, imposta dalla necessità di difendersi dagli altri membri della società, di fronte ai quali non può essere dichiarata la verità dei propri sentimenti.
Questa maschera non viene tolta che al momento della morte, quando le anime – in una scena affascinante descritta con grande maestria da Alberti –, giunte al fiume infernale, si lavano la faccia dalle incrostazioni accumulate in vita, per assumere un aspetto sincero e verace. In un misto di critica sociale e di amara constatazione, Alberti fornisce la misura tragica dell’esistenza umana e del potere, pure oggetto dell’opera, di fronte alla quale non resta che divenire, appunto, dissimulatore, per pure necessità di sopravvivenza.
EffeEmme