Se n’è andato il primo giorno di primavera, Franco Lerin. Uno degli ultimi romantici del giornalismo, uno degli ultimi veri corrispondenti, quelli che per anni hanno fatto la fortuna dei giornali, come lui l’ha fatta de L’Arena.
“Il mio giornale” diceva sempre, con quel sorriso mite, l’umiltà a farla da padrone. Lo sentiva suo, davvero, come forse non accade più e non è soltanto uno slancio di nostalgia. Lo sentiva suo, perchè, per anni, 30, 40, forse anche più, “io devo riportare tutto quello che succede a San Giovanni”. Una missione, non solo una passione, la sua. Come succedeva ai corrispondenti di una volta, che erano gli occhi del giornale, anzi, il cuore del giornale.
E poi, il calcio. Cronista del San Giovanni Lupatoto, da sempre. Poi anche del Pozzo, sdoppiandosi in un lavoro domenicale che deve averlo sottratto molto alla famiglia, “ma mia moglie è una santa, capirà”, sorrideva. Puntuale, preciso, corretto. Un giornalista vero, anche se il suo lavoro era un altro e se quella era rimasta, sempre e comunque, la sua straordinaria passione. Diventata (quasi) fede, quando gli era stata affidata la Primavera del Verona. Ragazzi poi diventati spesso campioni, che lui seguiva, descriveva, intervistava. “Quello farà strada” ti diceva. Lì per lì, magari, non ci crederai, poi ti accorgevi che “quello lì” era un certo Jorginho. Lui li ha visti tutti, s’è sbagliato raramente. E sentiva sua anche la Primavera del Verona, che seguiva con amore, ma anche con grandissima professionalità. Pronto a proporti interviste, servizi, con educazione, rispetto, senso della misura.
Doti rare, in un mondo in cui è facile uscire dalle righe, a Franco non è mai successo. Telefonava, educato, rispettoso. E quasi sempre gli dicevi di sì, non fosse altro per quel modo tutto suo di proporsi.
Un grande esempio, una lunga storia che sarebbe bello proporrre ai ragazzi che oggi s’affacciano al giornalismo.
Anche quando gli anni, qualche acciacco, un filo di stanchezza, lo avevano un po’ allontanato, ha conti nuato a scrivere, descrivere, raccontare. Aveva i suoi appunti, “…così mi tengo in forma” diceva. “Come stai, Franco’?” E rispondeva col sorriso. “No ghè mal…”.
Era stato a suo tempo anche un buon giocatore, nel glorioso San Giovanni, ovvio. Un bel difensore, “gamba o balon”, scherzava. “Son mejo come giornalista”, rideva. Ed era, forse, l’unico momento in cui si elogiava. Del San Giovanni aveva scritto anche la storia, con la passione e l’amore di sempre.
Con lui sapevi di andare sul sicuro, il servizio e lo portava sempre a casa. Aveva senso del dovere, professionalità. E sapeva darti amicizia, quella vera. Quella che è durata negli anni, al di là del lavoro che passa e del tempo, malandrino, che si porta via anche le persone care. I sentimenti no, per fortuna. Quelli resistono, lo faranno sempre. E ce ne saranno tanti,domani alle 15, nella chiesa di San Giovanni, ad accompagnare Franco.