Antonio Pigafetta, nato a Vicenza, fu uno dei pochi sopravvissuti della grande spedizione navale che partì dalla Spagna nel 1519 con l’idea di raggiungere le orientali Isole delle Spezie (le Molucche) viaggiando però verso ovest e superando quindi il continente americano. Si trattò effettivamente della prima circumnavigazione del globo, nata dallo spirito esplorativo del portoghese Fernão de Magalhães – italianizzato in Ferdinando Magellano – ma anche dall’interesse economico rappresentato dal commercio di spezie, una merce assai rara e preziosa che l’Europa doveva importare dalle terre orientali. La flotta di cinque navi, finanziata da Carlo V, richiedeva un equipaggio di circa 250 uomini. Pigafetta si imbarcò sulla nave ammiraglia Trinidad, comandata da Magellano stesso; si tratta di un viaggiatore eccezionale, sia perché riuscì a fare ritorno insieme a soli altri 17 superstiti, sia perché tenne un diario di viaggio in cui annotò numerose osservazioni sulla natura geografica e antropologica con cui venne a contatto nei diversi continenti, restituendo con la sua Relazione tutta la curiosità e le meraviglia di chi vedeva quei luoghi esotici per la prima volta. Nel contesto di questa ambiziosa impresa troviamo anche i primi vocabolari di lingue indigene, comprese le prime attestazioni di termini che ora consideriamo completamente acquisiti, quali mais o maracas. In seguito alla navigazione lungo la costa dell’America latina e l’esplorazione del Rio de la Plata, una tappa fondamentale del viaggio fu sicuramente la Patagonia e l’attraversamento, dopo vari tentativi, delle acque difficili dello stretto che collega l’Atlantico al Pacifico, e anche ancora oggi porta il nome del capitano che riuscì nell’impresa. È molto curioso, a questo proposito, come termini geografici che ora utilizziamo su scala globale ebbero origine, in realtà, non solo da personaggi storici, ma anche da situazioni estremamente contestuali : “Patagonia”, forse per il paesaggio incredibile che la caratterizza (e per il mito dei giganti patagoni), deriva ad esempio dal nome del mostro Patagón del romanzo cavalleresco Primaleón, che era stato pubblicato a Salamanca pochi anni prima, e che evidentemente era stato conosciuto e apprezzato dai viaggiatori. Anche l’Oceano “Pacifico”, notoriamente piuttosto agitato, fu chiamato così perché le navi, dopo i 38 tormentati giorni che servirono per attraversare lo stretto, trovarono le nuove acque occasionalmente calme. La navigazione proseguì per 3 mesi e 20 giorni con una lunga traversata senza mai toccare terra. Il viaggio fu estenuante a causa della scarsità di acqua e viveri, che portò i marinai a nutrirsi di trucioli e cuoio, tentando peraltro di sopravvivere al dilagare dello scorbuto. Inoltre, delle cinque navi salpate in Spagna ne erano rimaste solo tre: la S. Antonio si ammutinò e abbandonò la spedizione facendo vela per Siviglia, mentre la Santiago era affondata sulla costa argentina. Ma le Filippine, con i suoi paesaggi idilliaci, le spezie e i fiori variopinti avrebbero inaugurato, nonostante le future difficoltà, le meraviglie del sud-est asiatico.
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