La storia di Alex Schwazer merita di essere letta. Soprattutto se ancora non la conoscete bene. Cresciuto in una famiglia di sportivi, ha capito presto di essere un predestinato. Si è dato all’hockey, al ciclismo e poi, in via definitiva, alla marcia. Si è allenato come un ossesso e nel 2008, a ventitré anni, è diventato campione olimpico nella specialità dei cinquanta chilometri. Poi però, qualcosa si è spento dentro di lui. È arrivato a odiarsi, ad autodistruggersi. Ha assunto un ormone dopante, l’eritropoietina (EPO), ma nel 2012 è stato scoperto e squalificato per tre anni e mezzo. Non si è arreso. È riuscito a ripartire, con un nuovo allenatore e una nuova fidanzata (prima stava con un’altra atleta famosa, la pattinatrice Carolina Kostner). Ha scontato la sua punizione e si è presentato, ripulito e rinvigorito, ai nastri di partenza delle Olimpiadi 2016. Ma pochi giorni prima delle gare, una nuova batosta: la notizia di una seconda positività. Pena: altri otto anni di sospensione.
Ad Alex è nuovamente crollato il mondo addosso, anche perché questa volta era sicuro di essere innocente. Per fortuna, il lungo procedimento penale che ne è seguito gli ha dato ragione, smascherando i piani oscuri di avversari “più grandi”: IAAF e WADA, cioè l’Associazione Internazionale di Atletica e l’Agenzia Mondiale Antidoping. Per loro Schwazer era diventato un personaggio scomodo. Un capro espiatorio, più che un semplice colpevole. E dunque, come il processo penale ha dimostrato, hanno manipolato i suoi test delle urine in modo da farlo risultare recidivo. Alex è poi stato scagionato penalmente, ma solo nel 2021 e non dalla giustizia sportiva, e così non ha più potuto partecipare a gare ufficiali. Non che sia rimasto con le mani in mano: si è riciclato come allenatore amatoriale e soprattutto ha messo su famiglia, sposando Kathi e mettendo al mondo due figli. La sua nuova vita è forse meno sportiva, ma di certo più ricca. Ma chi gli restituirà gli anni della seconda squalifica?