Quando nel 1973 Ingmar Bergman ideò, produsse e diresse la miniserie di 6 puntate intitolata Scene da un matrimonio, il tema del divorzio non era ancora stato completamente sdoganato dall’opinione pubblica, né tantomeno sembrava un argomento di cui cinema o tv fossero in grado di discutere. Ma prendere sul serio la potenza comunicativa che caratterizza la settima arte è sempre una scelta saggia: la storia della crisi matrimoniale vissuta da Marianne e Johan ed egregiamente messa in scena dal regista svedese, infatti, non solo riscosse un enorme successo di pubblico – si dice addirittura che la sua messa in onda fu la spinta culturale necessaria a molte coppie svedesi per affrontare apertamente i loro problemi relazionali -, ma provocò anche una discreta indignazione hollywoodiana quando la versione cinematografica, uscita in sala l’anno dopo, venne squalificata dalla corsa agli Oscar a causa del suo precedente passaggio televisivo.
Riconosciuta o meno, la serie si inserì alla perfezione tra le pieghe di un moto di rivoluzione socio-culturale che stava investendo molti paesi in quel decennio, diventando pietra miliare del cinema e modello cui tanti drammi da camera successivi si sono ispirati.
A quasi 50 anni di distanza, le Scene da un matrimonio tornano a parlarci, come solo le opere d’arte sanno fare, del mistero celato tra gli equilibri – o squilibri – dei rapporti amorosi, e lo fanno grazie al remake diretto da Hagai Levi, prodotto da HBO e trasmesso su Sky dal 20 settembre. 5 episodi di un’ora ciascuno, 5 ore di quella che il produttore esecutivo Michael Ellenberg ha definito «una nuda, pure e cruda performance».
Le performance in realtà sono due e sono entrambe magistrali: Jessica Chastain e Oscar Isaac tirano fuori il meglio dalla loro esperienza attoriale e personale e la mettono a disposizione dello spettatore; degni eredi di Liv Ullman ed Erland Josephson, i due entrano nel corpo dei loro personaggi e non si risparmiano nella resa scenica di un’intimità che, con lo scorrere delle lancette e del dramma, si trasforma sotto i nostri occhi prima in sospetto, poi in distanza, imbarazzo, gelosia, infine in esasperazione e odio.
La loro generosità interpretativa si unisce poi a una scrittura da kammerspiel giocata sull’alternarsi di sguardi, parole e silenzi: solida e misurata, la sceneggiatura riesce ad attualizzare l’opera di Bergman conducendo un’attenta analisi delle problematiche morali, socio-economiche, culturali e di identità cui almeno una volta tutti ci siamo imbattuti, in quel gioco di armonia e tempesta che è la vita di coppia.
L’essenza dell’originale non risulta dunque mai snaturata dall’operazione di Levi, piuttosto ne esce rinvigorita e capace di sovrapporsi alla realtà, al nostro modo di vivere un quotidiano, sempre più contraddittorio e sfuggente, in cui magari parlare di divorzio come fenomeno sociale potrà non essere più così sovversivo, ma interrogarsi su dubbi, responsabilità e dolori che derivano dal fallimento di un matrimonio non smetterà mai di esserlo.
Voto: 9.5