Con 232 presenze distribuite in dieci stagioni, intervallate da un anno in prestito alla Pistoiese, Giancarlo Savoia, uno dei migliori prodotti del vivaio gialloblù, entra nella storia dell’Hellas Verona dalla porta principale. «Sono cresciuto nel Settore Giovanile – racconta – e a 16 anni ho fatto il mio debutto in Prima squadra, allora in serie B.
Quel ragazzo dalla faccia pulita, umiltà da vendere, già dotato di classe, visione di gioco e spiccata personalità, divenne ben presto pedina inamovibile. Dopo i primi anni da mezzala, eccolo diventare uno dei migliori interpreti del ruolo di libero. «Fu merito di Guido Tavellin. Ero reduce da un infortunio e in occasione di un’amichevole mi disse di mettermi dietro i difensori. Poi da lì non mi sono più mosso». E dopo qualche anno Savoia diventa protagonista, con la fascia di capitano, nella seconda promozione in A della storia dell’Hellas, sotto la guida del Barone Liedholm. «Andare in A da protagonista con la squadra della mia città – ricorda – è stata un’emozione incredibile. Liedholm, inoltre, era veramente un grande allenatore. Aveva una capacità unica di sdrammatizzare le cose, mi tenne fin da subito sotto la sua ala protettiva. ‘Tu Jancarlo – mi diceva sempre – sei un bravo jocatore’. Inoltre era un vero maestro di calcio». Verona, però, dopo tanto amore, gli stava per giocare uno scherzo inatteso. «Mi volevano Milan, Inter e Napoli, ma mi sono fratturato il perone e sono rimasto fermo un anno e mezzo. Allora, del resto, i tempi di guarigione era molto più lunghi. Feci di tutto per rientrare ma il Verona – e questo rimane il suo più grande rammarico – decise che non servivo più. Rimasi molto dispiaciuto ma questa è la vita».
Per fortuna che dietro l’angolo c’era proprio l’Atalanta. «Previtali – confida Savoia – quando lo venne a sapere, chiese subito al Verona di lasciarmi andare. Fu la mia fortuna. Il primo anno feci 38 partite su 38 e andammo in serie A. A Bergamo disputai tre ottime stagioni. Sono rimasto molto legato all’Atalanta». In nerazzurro Savoia fece da ‘chioccia’ a un certo Gaetano Scirea, che stava muovendo i primi passi di una carriera che dalla Juventus l’avrebbe portato fin sul tetto del mondo. «Si vedeva subito dove sarebbe arrivato. Ero infortunato -confida – e consigliai a Corsini, l’allenatore, di puntare su di lui. Pensate che quando esordì a Cagliari al posto mio – è il suo curioso aneddoto – decisi di dividere il mio premio partita con lui. Si, perché allora i premi andavano solo ai titolari e lui, essendo riserva, pur giocando, non avrebbe preso nulla». Veramente un calcio d’altri tempi, vien da dire.
Da buon doppio ex, Savoia è al Bentegodi per salutare Percassi, oggi presidente nerazzurro ma suo compagno di squadra a Bergamo. Ma Savoia che giocatore era? «Ero uno che credeva in certi valori, che cercavo di trasmettere. Inoltre, mi piaceva vivere in mezzo alla gente. Un aspetto che i giocatori di oggi hanno un po’ perso». Impossibile dargli torto.
Enrico Brigi