Lo scrittore portoghese José Saramago, morto nel 2010, è uno degli autori più letti e influenti dell’ultimo secolo. Premio Nobel per la letteratura nel 1998, è autore di romanzi di grandissimo impatto, quali Cecità o Il Vangelo secondo Gesù Cristo. Il primo di questi due romanzi, se è possibile dire così per un’opera letteraria, torna di attualità con la pandemia che ha colpito il pianeta nel 2020. In quell’opera, infatti, viene descritto l’emergere di un’epidemia di cecità inspiegabile, che colpisce gli esseri umani in modo non chiaro – forse per contatto, forse semplicemente perché gli occhi del cieco si posano su chi cieco ancora non è. Lo stesso contesto nazionale e sociale non è chiarito: non si sa in che Paese ci si trova, non si capiscono le condizioni socio-economiche; si sa solo che, per contenere questa epidemia, il governo prende una posizione di forza, agendo, come avrebbe detto Carl Schmitt, nello “stato di eccezione” e monopolizzando la forza per contenere gli infetti in un sanatorio controllato militarmente, all’interno del quale non vige alcuna regola sociale. I malati-prigionieri devono quindi costruire a fatica, e non senza resistenze e dinamiche violente, delle regole di convivenza, che vengono puntualmente disattese sia per la prevaricazione operata da alcuni gruppi di ciechi, sia per lo stato di fondamentale dipendenza dal mondo esterno quanto al sostentamento di base, ossia, banalmente, per ricevere il cibo. Cosa ci trasmette, dunque, Saramago? L’oggetto del romanzo – che è comunque passibile di interpretazione – non è tanto la malattia in se stessa, la cui origine, in definitiva, non importa; non è neppure il modo di gestirla – anche se difficilmente si potrebbe approvare la mancanza di rispetto umano dimostrata dal governo. L’oggetto è forse proprio la natura umana, sempre tesa tra egoismo e solidarismo, tra l’interesse individuale e la pulsione – o necessità – alla vita sociale, che non è sempre vita civile. Perché il romanzo di Saramago è dunque attuale? Come emerge dal libro – e dalla realtà –, da situazioni estreme ed emergenziali non si esce necessariamente migliori. Di più, un parallelo quasi profetico può essere trovato nella moralizzazione della malattia, che indica il cieco come un pericolo e porta a cercare chissà quali ragioni morali per la sua condizione. Viene meno, inoltre, uno dei modi più impliciti in cui la malattia viene vissuta nel mondo Occidentale: quando essa è un’esperienza di pochi, ristretta, che non viene vista dal pubblico, la malattia è un veicolo di empatia collettiva autoassolutoria, uno sfogo di umanità repressa dall’egoismo del tempo moderno; nel momento in cui diviene pandemica – la cecità di Saramago, il Covid-19 – riemergono gli istinti di lotta di tutti contro tutti, una società naturale di mutua esclusione e di paura per l’altro.
EffeEmme