“C’è ancora qualcosa da dire?”, sorride Sara Simeoni mentre un gruppetto di volontari del meeting di Savona vogliono posare con lei. A occhio, hanno tra i venti e i venticinque anni ma l’apparire di questa signora che ora porta capelli corti e biondi smuove in loro ricordi indiretti, narrazioni, filmati, immagini di una ragazza dalla chioma scura e arricciata, una moda del tempo, dalle braccia spalancate, dallo sguardo che, almeno per un attimo, esprime una giusta esaltazione: record del mondo, record del mondo, titolo europeo e ora, 26 luglio 1980, la medaglia d’oro olimpica. Di lei hanno sentito probabilmente parlare dai genitori, che avranno fatto il tifo per lei e come non farlo?
Quella signora è una delle bandiere dello sport italiano, anche adesso che son passati 40 anni da una medaglia d’oro che è come un diamante, un oro olimpico è per sempre. Quando si è trattato di decidere chi sia stata l’Atleta Azzurra del XX secolo, la scelta si risolse in formalità: lei. Ben infissa nella storia, amata anche da chi non l’ha mai vista saltare.
Di quei giorni moscoviti esistono altre immagini. In una, cerimonia d’apertura, Sara indossa la divisa della squadra Coni, un tailleur che lei porta con elegante disinvoltura. Il tricolore non c’è e non ci sarà neppure il giorno dopo, il 27, quando andrà sul podio spendendo le lacrime avanzate. L’inno olimpico non è quello di Mameli ma riesce a essere coinvolgente. Il Lenin è ancora in pietra molto cruda, niente a che vedere con la trasformazione all’americana subita dopo la caduta dell’Urss. Gli applausi sono caldi, l’aria di Mosca anche.
“C’è ancora qualcosa da dire?”. Se Sara fosse il pianista di Casablanca, la pregheremmo di “suonarla” ancora una volta, quella finale. E così non resta che rivolgersi a un’altra musa, quella della danza, Tersicore, passeggera presenza della sua infanzia. Quella finale come uno spettacolo di danza moderna, sullo stile di Martha Graham: sentimenti che scaturiscono dai corpi, dai gesti, con una trama, uno scioglimento. Drammatico, lieto, coinvolgente.
“Sì, c’è sempre qualcosa da dire”, quando parliamo di Sara, che a Mosca ha temuto di non andare, “per via del boicottaggio che a un certo punto il Governo sembrava aver deciso. E io che volevo andare a tutti i costi,perchè quella di Mosca era la mia Olimpiade, non potevo mancare”. La sua e quella di Pietro Mennea, oro in una gara, quella dei 200, che mette i brividi anche oggi,
“Sì, c’è ancora molto da dire” su quella medaglia, che nasconde sacrifici e paure, ansie persino inattese per una fuoriclasse come lei. “Quando entrai allo stadio – ricorda Sara – mi prese una crisi di panico. Volevo scappare, me ne sarei andata, mi sembrava di non reggere alla tensione. Forse perchè ero la favorita non è mai facile sostenere quel peso”.
Il resto è leggenda. Lei che vola oltre l’asticella, lei che alza le braccia al cielo. Poi l’applauso dello stadio. Le lacrime. La felicità. Sua e di Erminio. Il mondo in un salto che dopo 40 anni è ancora più bello. Grazie, Sara.