Baglioni è “dimenticato”
Le scelte di Amadeus premiano i giovani e una musica che oggi è molto diversa…
Perché Sanremo è un pezzo molto lungo della nostra storia. Non solo di quella musicale, ma del costume, della società italiana. Ha 70 anni, s’è affacciato nel dopoguerra e ha attraversato mille stagioni diverse, la voglia di dimenticare la guerra, il desiderio di leggerezza, i sogni di milioni di italiani. Attraverso la musica, l’Italia s’è scoperta di volta in volta più unita, più ricca, più felice.
Sanremo è un pezzo della storia d’Italia e l’ha rappresentato anche con le sue canzoni, dove spesso ha affrontato temi sociali, culturali, economici, politici. Sanremo non è mai stato soltanto il festival della canzone, ma è sempre stato, invece, uno spaccato dell’Italia, con le sue mode, le sue contraddizioni, le sue fragilità, la sua bellezza.
Certo, nel tempo è cambiato e l’edizione numero 70 promette di dare una svolta netta, rispetto agli ultimi festival. Se l’anno scorso Baglioni aveva “svoltato”rispetto agli anni precedenti, ancora di più lo fa Amadeus, che porta al festival molte facce giovani e pochi “vecchi leoni”, ridotti quest’anno al minimo storico.
Aspettando di ascoltare le canzoni, però, sembra questo il festival giusto per il 2020, con interpreti giovani, musica adatta, meno melodia e più ritmo. Come richiedono i gusti dei ragazzi di oggi, musica e testi aggressivi.
Il festival di Amadeus è un festival coraggioso. E l’Italia ha bisogno di coraggio. Accendiamo la Tv, su il sipario Festival numero 70.
Era meglio ai vecchi tempi
Una volta era un punto di arrivo sognato. Oggi sembra quasi un punto di partenza…
Perché, visto così, non sembra più il festival di Sanremo, ma uno dei tanti talent show a caccia di rivelazioni. I big, o presunti tali, sono ridotti ai minimi storici. Con lo strano “richiamo” di Rita Pavone, arrivato in extremis. Pochi e sperduti in mezzo a nomi che la storia della musica devono ancora conoscerla. Certo, magari sono giovani di valore, ma qualche anno fa avrebbero cantato nella categoria “Giovani”, non tra i big. Anche perché, va detto, Sanremo, ieri, rappresentava una sorta di premio, un traguardo che tu conquistavi dopo la gavetta che serve, senza troppe scorciatoie. Non ci andavi dopo un disco, né dopo un CD, ne dovevi fare di strada. Oggi, leggi i nomi in lizza e sono in gran parte sconosciuti. Certo, magari sono bravissimi e le canzoni bellissime, ma questo è un altro discorso. La sensazione è che non rappresentino, comunque, il gusto musicale italiano, la vecchia e gloriosa tradizione, che il mondo conosce e apprezza. E siccome il festival è sempre stato anche questo, la 70ma edizione sembra venir meno a uno dei suoi caposaldi. Tanti giovani, okay, musica rap, musica rock, testi a volte troppo “spinti” (vedi il caso di Junior Cally). Ma Sanremo non è un talent show. Sanremo è il “campionato italiano” della musica, dove devono esserci i più bravi, non quelli che, “più bravi” lo saranno magari tra 5 anni. Nostalgia canaglia? No, affatto. Guardate l’albo d’oro e riflettete. Una volta, il festival lo vincevano Iva Zanicchi, Claudio Villa, Massimo Ranieri, eccetera eccetera. Erano tra i big, dell’epoca. Oggi lo hanno vinto, con tutto il rispetto, i Gabbani e i Mahmoud. Bravi, questo è sicuro. Ma quanta strada li aspetta ancora prima di essere davvero big?