Sanità, aziende in ginocchio Scatta il payback, migliaia di aziende a rischio

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Si chiama payback sanitario: si tratta di un rimborso che le aziende che riforniscono il sistema sanitario nazionale dovrebbero restituire perché le Regioni hanno pagate in eccesso. Una spending review inserita ancora dal Governo Renzi su indicazioni dell’Europa ma che secondo lo stesso Renzi non sarebbe mai dovuta diventare operativa “perché è una follia”. Follia con la quale stanno facendo i conti oltre 1500 aziende che riforniscono gli ospedali e che hanno intasato di ricorsi i vari Tar d’Italia. Il termine entro il quale pagare doveva essere gennaio scorso, poi prorogato a fine luglio, ma il Tar ora ha deciso di rinviare tutto al 24 ottobre.
Paolo Dussin, chairman della Versan &Dafne di Zevio che distribuisce e commercializza dispositivi medici specialistici agli ospedali, dagli stent ai defibrillatori, spiega: “A fronte di un fatturato che va dai 6,5 ai 7 milioni di euro, dovremmo restituire alla Regione Veneto per il quadriennio 2015-2018 qualcosa come 2,5 milioni di euro. Una doccia fredda, inattesa. Alla quale poi seguirà la richiesta per il quadriennio successivo. Un fulmine a ciel sereno per oltre 1500 aziende che rischiano di fallire per colpa del payback. In attesa di capire la decisione del Tar, stiamo fermi negli investimenti, nella ricerca e negli eventi perché non sappiamo cosa sarà dei nostri bilanci”.
La questione che sta mettendo in ginocchio tutto il distretto del biomedicale è al centro delle polemiche nazionali, tanto che è intervenuta Confcommercio con il settore Fifo Sanità Confcommercio, che ha inviato richiesta formale alla Camera dei Deputati e al Senato per il superamento del payback sui dispositivi medici nel Dl Energia.
“Le aziende devono rimanere estranee a una criticità che riguarda un rapporto Regioni-Governo”.
Secondo dati elaborati dal centro studi di Confcommercio Imprese per l’Italia che ha analizzato l’impatto del payback applicato ai dispositivi medici, in particolare sulle PMI del settore dei fornitori ospedalieri, ben 1.500 aziende sono oggi costrette ad affrontare un payback che va dal 30% al 100% del loro fatturato medio annuo e risultano, di fatto, a serio rischio fallimento. Queste sono composte per lo più da micro, piccole e medie imprese, con circa 12mila lavoratori a rischio licenziamento.
“Non abbiamo avuto neanche risposte dal Governo su cosa intendano fare per il futuro. Nonostante lo Stato abbia trovato 1 miliardo di coperture, condizionato alla rinuncia ai ricorsi al TAR, le aziende chiuderanno comunque”, afferma il presidente di Fifo, Massimo Riem.
La Regione Veneto, con decisione pubblicata sul Bur, ha previsto che dalle aziende che forniscono materiale sanitario dovranno arrivare 226.294.865 euro. Un scostamento del 4% di quanto speso dalla Regione. Funziona così: nel 2015 con il decreto legge numero 78, viene prevista la definizione di tetti regionali per i dispositivi medici e, similmente a quanto già disposto per la spesa farmaceutica, il cosiddetto meccanismo di payback a carico delle aziende fornitrici in caso di superamento del tetto di spesa regionale. Per effetto di tale meccanismo, le aziende sono chiamate a versare in favore delle Regioni una quota dello scostamento del tetto, pari al 40 per cento nell’anno 2015, al 45 per cento all’anno 2016 e al 50 per cento a decorrere dal 2017. La restante quota di sforamento rimane a carico dei bilanci delle singole regioni. In sintesi: se una Regione spende più di quanto doveva per comprare ad esempio pacemaker o apparecchi per i denti, la stessa azienda fornitrice deve restituire una parte di soldi alla stessa Regione.
Lo scostamento del tetto di spesa per i dispositivi medici in Regione Veneto – la cui spesa annuale è di circa 3,5 miliardi di euro – è di circa il 4 per cento. In quattro anni, dal 2015 al 2018, a fronte di una spesa di circa 15 miliardi, la cifra da recuperare è di quasi 230 milioni.
Nei mesi scorsi era intervenuta pesantemente anche Confindustria chiedendo la eliminazione del payback. “Il payback – ha dichiarato il Presidente di Confindustria Dispositivi Medici, Massimiliano Boggetti – non è un problema solo delle imprese, ma le conseguenze dovute all’applicazione di questa norma iniqua si riverseranno sull’intero SSN. Dal fallimento di molte aziende e dal disinvestimento nel nostro Paese da parte delle aziende che operano su scala globale deriveranno migliaia di licenziamenti, un taglio drastico al sostegno della formazione, un ulteriore taglio agli investimenti in ricerca e sviluppo. Questo fatto produrrà un effetto negativo sugli operatori sanitari che non faranno più parte del circolo virtuoso ‘ricerca-innovazione-formazione’, in cui gli investimenti industriali giocano un ruolo fondamentale. Tutto ciò ricadrà sui cittadini e sui pazienti”.
La situazione è esplosiva. Anna Maria Bigon, consigliere regionale del Pd, chiede alla Regione di fare chiarezza. “Il dato nazionale prevede che dovrebbero essere restituiti due miliardi. Lo Stato ne ha messo in bilancio la metà e sostanzialmente per l’altra parte chiede alle Regioni di provvedere al recupero”.
Ma “è evidente che le ditte che hanno fornito si trovano in grosse difficoltà e la Regione deve dire cosa intende fare. Non può mettere la testa sotto la sabbia e lasciare le ditte a se stesse. C’è una normativa e certo va rispettata ma altrettanto vero che la Regione deve porre con forza la questione in conferenza Stato Regioni e chiedere al governo che intervenga”.