“Roma non dà soldi” e Amt non pagava Per le ditte sarebbe stata questa la giustificazione nei mancati e ritardati pagamenti

Si fa sempre più infuocata, come era prevedibile, la battaglia legale tra l’Ati, il consorzio dell’impresa appaltatrice e l’azienda trasporti guidata da Francesco Barini.
Così l’ATI tiene a precisare che le dichiarazioni rilasciate alla stampa da AMT non trovano corrispondenza negli atti dell’appalto.
Gli stati di avanzamento lavori -si legge in una nota- sono sempre stati pagati con pesante ritardo, determinando ingenti oneri e forti tensioni finanziarie a carico delle imprese. Ad inizio anno, poi, la stessa AMT ha sottolineato di non essere in grado di pagare gli stati di avanzamento lavori a causa della “mancanza di soldi da Roma”.
I SAL successivi al 7° (per oltre 3 milioni di euro ) -dice l’Ati- non sono mai stati pagati ed inoltre è stata illegittimamente sospesa la contabilizzazione e la certificazione dei lavori eseguiti successivamente al 30 aprile 2020 (più di cinque mesi fa). Tali circostanze non hanno certamente agevolato le aziende esecutrici ed è in particolare la CLEA che in questo scenario si è trovata ad affrontare una grave crisi di liquidità.
Così l’ATI dice di essersi vista costretta a chiedere evidenza ad AMT della effettiva disponibilità dei “soldi” per pagare gli stati di avanzamento lavori. Per attestare tale circostanza sarebbe stata sufficiente una dichiarazione dei vertici di AMT, attestante, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 47, 75 e 76 del DPR 445/00 l’effettiva disponibilità dei finanziamenti che però non è mai arrivata.
Il 24 aprile scorso, in pieno lock-down, il Consorzio capogruppo dell’ATI in considerazione delle difficoltà finanziarie di CLEA ricorda di aver comunicato ad AMT di aver deliberato la sostituzione di Clea con la propria consorziata Sinergo al fine di garantire la ripresa dei lavori post Covid-19 e il loro regolare proseguimento. AMT ha impiegato oltre un mese per una semplice presa d’atto che era però indispensabile affinché la nuova assegnataria potesse avere titolo ad operare direttamente e stipulare contratti di fornitura e/o di subappalto.
Come se non bastasse alle difficoltà derivanti dall’emergenza pandemia da Covid 19 e ai problemi finanziari di AMT, a giugno, si aggiungevano le notizie apparse sulla stampa locale (16 e 17 giugno 2020) in cui veniva sottolineata la volontà di modificare il progetto e che trovavano conferma in una riunione in cui i rappresentati dell’ATI esecutrice venivano messi a conoscenza di questa intenzione direttamente dai vertici di AMT e dal Sindaco di Verona presente alla riunione.
Quest’ultima iniziativa, aggiungendosi alle note difficoltà finanziarie di AMT e a quelle derivanti dall’emergenza Covid, generava grande diffidenza in tutti gli operatori appartenenti alla filiera di realizzazione dei lavori (fornitori e subappaltatori), già colpiti dalla crisi della CLEA, i quali si mostravano restii ad assumere nuovi impegni finalizzati a proseguire lavori che da lì a breve sarebbero stati verosimilmente interrotti.
In sintesi il 21 luglio l’ATI si è vista costretta a ripiegare una complessa organizzazione messa su con notevoli investimenti per realizzare un’opera da 130 milioni di euro dall’elevatissimo contenuto tecnologico e che avrebbe consentito alla citta di Verona di avere un sistema di trasporto pubblico moderno ed ecologico, per dedicarsi unicamente a piccoli lavori di manutenzione stradale, spostamento di sottoservizi e sporadici interventi di edilizia civile per un valore complessivo prossimo al 10% dei lavori appaltati. È di tutta evidenza che, come risulta dalle contestazioni dell’ATI agli atti dell’appalto, i ritardi accumulati sono stati determinati da esclusiva responsabilità di AMT e facilmente dimostrabile che, in assenza dei suddetti impedimenti, l’apparato produttivo dell’ATI avrebbe consentito di essere perfettamente in linea con il cronoprogramma contrattuale.