A poco più di vent’anni dalla proclamazione della nascita dello stato di Israele (14 Maggio 1947), ebbe inizio il 5 Giugno 1967 la terza guerra arabo-israeliana. Il brevissimo conflitto bellico – la guerra durò infatti solo sei giorni – mutò notevolmente la configurazione geopolitica dell’area e divenne l’evento chiave nella questione mediorientale. Dal 5 al 10 Giugno Israele conquistò la Striscia di Gaza, occupata dall’Egitto, la penisola del Sinai, regione dello stato egiziano, la West Bank o Cisgiordania, annessa dalla Giordania, le alture del Golan, territorio appartenente alla Siria e, infine, Gerusalemme Est, che pure era stata acquisita dal regno di Giordania. La fulminea e schiacciante vittoria di Israele estese il suo territorio da 22.000 kmq a più di 100.000 e comprendeva una popolazione araba, che salì da 200.000 a più di un milione. Le conquiste dell’esercito israeliano includevano pure, quindi, i territori che erano stati destinati dalla Risoluzione ONU 181 alla creazione dello stato dei palestinesi con l’esclusione di Gerusalemme. Il passaggio di quei territori dal dominio arabo di Egitto e Giordania all’occupazione militare di Israele determinò la svolta della questione mediorientale: dalle guerre arabo-israeliane si passò al conflitto israelo-palestinese, che innescò nell’ex Mandato britannico uno stato di guerra permanente. Lo scontro si acuì in primis a causa dell’illegale e violenta occupazione delle terre palestinesi condotta dai coloni sionisti e sostenuta dagli ultranazionalisti del Gush Emunim (1967), il Blocco della Fede.
Gli Stati arabi confinanti, a seguito della disastrosa sconfitta, iniziarono ad abbandonare l’idea di riconquistare i territori della Palestina e di annientare lo stato israeliano.
All’interno del variegato e instabile fronte antiisraeliano iniziò a svilupparsi il fondamentalismo islamico, che si basava su una visione sempre più integralista della religione in diretta coniugazione con l’azione politica. La spaccatura più lacerante e divisiva sarà quella che vedrà contrapporsi l’OLP, guidata da Yasser Arafat, e il gruppo fondamentalista di Hamas (Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, Movimento di Resistenza Islamica), che si costituì vent’anni dopo nel 1987 durante la prima Intifada. Inoltre i rapporti tra i 400.000 nuovi profughi palestinesi e gli stati arabi, dove i rifugiati migrarono, divennero fonte di tensioni che sfociarono, nel corso degli anni, in violenti e sanguinose lotte fratricide, di cui il “Settembre nero” del 1970 in Giordania fu il caso paradigmatico.
Nel preambolo il Consiglio di Sicurezza, dopo avere sottolineato il principio della “inammissibilità dell’acquisizione dei territori attraverso la guerra”, fa presente che tutti gli stati membri delle Nazioni Unite si devono attenere all’articolo 2 della Carta ONU, che hanno sottoscritto. In particolare il comma 3: “I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo.” e il comma 4: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.”
Pertanto, per ottemperare agli obblighi della Carta sottoscritti e operare per una pace giusta e duratura in Medio Oriente, si stabilì nell’articolo uno della Risoluzione: “a) ritiro delle forze armate di Israele da(i) [traduzione controversa: da (alcuni) oppure dai (tutti)?] territori occupati, b) fine da parte di tutti gli Stati della belligeranza e riconoscimento e rispetto per la sovranità, la integrità territoriale e la indipendenza politica di ciascuno Stato dell’area, […].
Nell’articolo 2 si dichiarò la necessità di giungere a una giusta soluzione del problema dei profughi. La risoluzione fu ignorata da Israele e respinta dall’OLP.
Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia