Mario Draghi non ci gira attorno, anche perché la lezione del Covid è ancora di fronte ai nostri occhi: “Sulla base dell’esperienza dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale”. Se la trincea degli ospedali in qualche modo ha tenuto è quella al di fuori che non ha retto all’onda d’urto per questo per il nuovo premier la “casa” dei pazienti deve diventare il “principale luogo di cura”. Una rivoluzione oggi possibile grazie alla “telemedicina” e all’”assistenza domiciliare integrata”.
Come noto in questo anno di emergenza la nostra Sanità ha mostrato il fianco scoperto su quello che gli addetti ai lavori chiamano “territorio”: si tratta di tutte quelle cure extra ospedale che raggiungono i pazienti dentro le mura di casa o al di fuori in strutture più semplici come gli studi dei medici di famiglia o più complesse e purtroppo più rare. Una “rete di servizi di base” il cui elenco è stato stilato dallo stesso Draghi nel suo discorso in Senato. E cioè: case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria). “È questa – secondo il premier – la strada per rendere realmente esigibili i Livelli essenziali di assistenza e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative. Le cure a casa e sul territorio sono del resto tuttora la prima trincea contro il Covid, ma è una trincea caduta dopo la prima ondata del virus e da allora mai rimessa in piedi. L’occasione per costruire questa riforma “a tutto campo” della Sanità sarà ovviamente il Recovery plan dove al momento secondo la bozza messa a punto dal precedente Governo Conte la dote a disposizione, grazie anche al pressing del ministro della Salute Roberto Speranza, è salita a 18 miliardi.
Proprio l’ultima versione del Recovery plan destina quasi metà dei 18 miliardi della Sanità – 7,5 miliardi di euro per l’esattezza – proprio al territorio e alle cure a casa. Si prevede infatti che entro il 2026 saranno realizzate 2.564 Case della Comunità nuove di zecca, una ogni 24.500 abitanti.
L’obiettivo è assistere in questi nuovi spazi dove lavoreranno medici e infermieri in rete finalmente capillare 8 milioni di pazienti «cronici mono-patologici» e 5 milioni con più patologie.
L’altra faccia della medaglia sono le cure direttamente a casa dei pazienti, a cui va 1 miliardo di euro che dovrà mettere le ali all’assistenza domiciliare integrata su cui oggi l’Italia è fanalino di coda in Europa.
Il target? 500mila nuovi pazienti over 65 presi in carica. Ma per mandare a regime l’assistenza a casa si spingerà anche sulla telemedicina che secondo il Piano assisterà almeno 282.425 pazienti entro il 2026. Infine con 2 miliardi sono da costruire le «cure intermedie»: nasceranno 753 ospedali di comunità – 1 ogni 80mila abitanti – per assistere tutti quei pazienti per cui il ricovero in ospedale non è indicato ma che non possono neanche stare a casa.