Da una settimana, con la riapertura di bar e ristoranti, sono ripartiti gli ordinativi per il settore vitivinicolo, ma la sensazione degli imprenditori agricoli è che i consumi siano parecchio sottotono. Manca infatti all’appello tutto il settore turistico dall’estero che in questo periodo affollava la seconda città turistica del Veneto e la quarta in Italia per turisti stranieri. E parecchi ristoranti, dalla città al lago di Garda, non hanno riaperto. Perciò c’è il timore – che è quasi una certezza – che molto vino resterà in cantina.
“Siamo in grande difficoltà – sottolinea Christian Marchesini, presidente dei vitivinicoltori di Confagricoltura Veneto -. La ripartenza sarà molto lenta per tutti e quindi, oltre ad aver perso un 30 per cento delle vendite, relativo ai tre mesi di lockdown, se non riprenderanno ad alto ritmo i consumi la percentuale potrà arrivare al 50 per cento. Abbiamo la certezza che una grande quantità di prodotto avanzato, vedi i vini d’annata e pronti da bere, non potrà più essere smaltita. Ci servono quindi misure urgenti per permetterci di avere liquidità e ridurre i costi di produzione. Perciò chiediamo, innanzitutto, di abbassare il limite di produzione dei vini da tavola portandoli a 300 quintali per ettaro e senza deroghe. Crediamo molto anche nella distillazione di crisi, dando priorità ai vini dop e igp, che permetterebbe ai produttori di vendere il vino non di pregio ai distillatori per la conversione in alcol. Le cifre che ci hanno proposto, vale a dire 20 euro a ettogrado, sono però troppo basse per sostenere il mercato, così come i 400 euro a ettaro per la vendemmia verde, che andrebbero raddoppiati. Siamo comunque favorevoli a sostenere le iniziative consortili volte alla riduzione delle rese, ma sempre con priorità ai vini dop”. Marchesini si augura comunque che il canale Horeca riprenda pian piano quota.