Restituire il ricordo di vite passate Renzo Peretti apre gli sguardi e dà voce alla complessità della realtà contemporanea

“Corpi testimoni del fardello che la realtà ci presenta vorrebbero urlare ciò che, normalmente, non si riesce a vedere”. Con queste parole, l’artista veronese Renzo Peretti apre la narrazione del suo progetto creativo e lancia le esperienze visive di questi ultimi mesi: “Limes” (al bastione austriaco di Forte Ardietti, tra i comuni di Peschiera del Garda e Ponti sul Mincio) e “Corpi in transito” (alla Galleria Micontì di Villafranca). La sterminata produzione di Peretti (pittore, incisore, scultore e a lungo docente di “Anatomia artistica, disegno, elementi di morfologia e dinamiche della forma” all’Accademia Belle Arti di Venezia) si propone di dare senso e voce alla complessità del contemporaneo. Gli allestimenti realizzati con le opere di questo singolare artista entrano in dialogo con gli spazi espositivi (esaltandone il fascino) e interrogano profondamente chi vuol provare a vedere oltre la superficie. Le immagini offerte allo sguardo del pubblico sono rappresentazioni inquietanti di vite fragili, ferite, offese e “testimonianza di una martoriata disgregazione, metafora della caducità delle cose del mondo”. I lavori di Peretti svelano anime imploranti e in relazione che tentano di allontanare “i grumi ma non l’ombra ineluttabile del dramma esistenziale”. Le sculture e le pitture esposte nelle due mostre da poco concluse (figure umane, crocifissi, sovrapposizioni e scritture) propongono vicende amare e ormai passate da indagare come utili memorie per il futuro. I materiali utilizzati nelle opere mutano di continuo, in principio grazie alle rielaborazioni plastiche dell’artista e, in seconda battuta, attraverso le inesorabili aggressioni del tempo, dell’incuria e delle intemperie. Carta, legno, tela, supporti di recupero e pigmenti, volutamente lasciati senza un riparo, modificano la loro struttura originaria e diventano nuova sostanza in evoluzione che, spiega Peretti, “non ambisce in alcun modo all’immortalità”. Si tratta di forme espressive emblematiche della transitorietà umana, plasmate e manipolate “fino a diventare carne”. La luminosità, il colore, il calore di queste inermi installazioni ricordano una lontana consistenza terrena. Quello che in passato era acceso e vitale, oggi è segnato da anatomie trafitte, sgretolate o intrappolate in un eterno purgatorio. La ricerca di Peretti racconta una dura denuncia sociale, un richiamo alla responsabilità individuale che urla e fa emergere ciò che, spesso, preferiamo non sentire e vedere: la sofferenza delle disparità, l’orrore delle troppe guerre, la disperazione delle oppressioni, la fragilità delle relazioni e l’incoerenza di un mondo rivolto prevalentemente alla materialità. I corpi di Peretti (da lui definiti “martiri di loro stessi”), le scritte evocative delle grandi tele (solo in parte svelate) e i tanti tratti sovrapposti nella pittura, ci rammentano storie. Sono drammatiche narrazioni di vite che, nonostante le difficoltà, aspiravano alla pienezza e, per usare le parole dell’artista, “al ricongiungimento di un’identità e di un’integrità originaria perduta”. Le opere dei due itinerari espositivi testimoniano una dolorosa corporeità segnata dal degrado che, comunque, riesce a esprimere un sussulto vitale. I simulacri di Peretti sono, forse, ponti verso l’ignoto, strutture capaci di trasmettere una visione inconsueta dell’esistenza, pensata per risvegliare, con linguaggi mai banali e di forte impatto, le coscienze individuali. L’obiettivo dichiarato di questa esperienza d’arte è combattere il disincanto e l’apatia, suscitare emozioni contrastanti, ricercare il dialogo con chi osserva per aprire lo sguardo a nuovi punti di vista sulla contemporaneità.

Chiara Antonioli