Ci sono foto che raccontano più di mille parole. Di mille partite. E che ti fanno ripensare a un calcio bello e semplice, senza troppe statistiche e senza droni che filmano gli allenamenti, senza Gps per controllare i tuoi dati, “…perchè a quelli come il mister, bastava l’occhio”.
C’era un calcio come questo, dove i match analyst non erano ancora nati, ma dove si vinceva uno scudetto, davanti a una lavagna improvvisata. L’Osvaldo, col berrettino d’ordinanza, li riuniva lì. Disegnava la sua squadra, “el tersin el fa el tersin, ma a sinistra Maranga deve spingere”. E giù una freccetta. Il Ferroni no, lui mrcava solo. E poi tutti li altri, chè a ripensarli adesso capisci quello che Bagnoli ha sempre detto. “Io li mettevo in campo, poi loro si trovavano la posizione giusta”. E poi, un’altra delle sue: “Gli schemi in attacco? Mai fatti. Decidevano loro…”. E infatti, sulla lavagna c’è il 9 e poi ‘11, le uniche frecce vanno verso la porta degli altri…
Eccoli lì, i “suoi giocatori” ad ascoltare. C’è De Agostini, a sinistra, si riconosce Volpati, a destra. Ma ci sono tutti, davanti a quella lavagna. “In ritiro – raccontano sempre – prima del campionato, il mister ci metteva seduti dopo due giorni e diceva: “Questa èla mia formazione tipo”. Tutti avevamo paura – ricorda Di Gennaro. E Galderisi: “Appena arrivato, disse la sua formazione e io non c’ero. Uscii dalla sala e chiamai Boniperti. “Presidente, io vengo via da qua, non gioco”.
Poi finivano che giocavano tutti, “perchè lui sapeva cambiare idea e non aveva paura a farlo. Ma quando lì alla lavagna, cominciava a dire, “1 Garella, 2 Ferroni… ti prendeva un po’ di paura” aggiunge il Dige.
Ah, a proposito, nella foto non c’è il match analyst, ma non cercatelo Fatica sprecata.
Raffaele Tomelleri