Ciao Gianni,
così no, porca miseria, non dovevi scapparci via così. Senza neanche avvertire. Anche se, a pensarci bene, se tu avessi potuto scegliere, l’avresti fatto proprio così. Per non disturbare, come sempre. “Eh, adesso non esagerare con le parole, mi raccomando” mi diresti.
No, non esagero, niente è esagerato parlando di te. Ho letto parole bellissime. Forti, vere. Ho pure pianto e non mi vergogno a dirlo. Se c’era qualcosa di esagerato, piuttosto, oltre alla tua bravura, era la tua semplicità., la tua umanità.
Come quella volta, eri già stato a “Palla lunga”, due tre volte e io avevo provato a dirti: “Gianni, se vuoi, ti prenoto io il treno, oppure ti rimborso il biglietto…”. Tu m’avevi risposto, secco: “Non vado da nessuno, vengo solo da te perché sto bene. Buona compagnia, buona cucina, sempre del gran vino… Al biglietto penso io. Tu prenotami una stanza al “Rossi”, in stazione, è perfetto per me. Mi danno sempre la stanza fumatori, meglio di così…”.
Mi ricordo, la tua prima volta a Telearena. Non ci conoscevamo, al telefono m’avevi detto solo, “…mi raccomando, ci dev’essere l’Osvaldo”. C’era l’Osvaldo, con Nanni e Ottavio Bianchi. “Mi abitui bene”, avevi detto. E alla fine, mentre uscivamo, poco prima delle 11, quasi notte, rompendo gli indugi, avevi buttato lì: ”Scusa, non penserai mica di poetarmi in albergo, adesso. Dove si va a cena?”
Ero in imbarazzo, non potevo deluderti al primo colpo. Mi salvai chiamando il Cavour, Dossobuono. Mi rispose Vittorio, che adesso, lassù, ti potrà preparare tutti i carrelli di bolliti e pearà che desideri. “Son le 11 – mi disse Vittorio – ma se c’è Gianni Mura non c’è storia, si tiene aperto…”.
Andammo. Forse Nanni si staccò dalla compagnia. C’eri tu, Bagnoli e Bianchi. Oltre a me. Fu memorabile ascoltarti e guardarti. Impossibile tenere il tuo passo. Alle 2 ricordo un ultimo “giro di pearà”. Alle 2.30 arrivò la frittata, specialità di Vittorio. Alle 3 “chiamasti” un giro di grappa. Alle 3.30, mentre noi tre avevamo da tempo ridotto gli interventi e (quasi) azzerata l’apertura degli occhi, ti alzasti un po’ “sdegnato” e ridendo ci “bocciai” così. “Vi porto a letto, vi facevo più forti: vi dò 5,5 per la resistenza scarsa, vi dovete allenare”.
Da allora, ogni anno, un paio di volte passavi da “Palla lunga”. Diventammo (quasi) amici. Così, un giorno trovai il coraggio di scriverti: “Grazie Gianni, per la tua disponibilita. In questi anni la tua presenza è stata uno stimolo a continuare su questa strada, convinto che non ci sia sport, senza umanità…”.
E tu m’avevi scritto: “ Considerati dei nostri, Raffa. Più siamo e meglio è. A giudicare dalle tue serate c’è tanta gente che ci crede. Solo i nostri capi non lo capiscono. Peccato che siano i nostri capi”.
T’avevo chiesto la prefazione del libro di “Palla lunga” e tu, perfetto nei tempi, m’avevi inviato un pezzo stupendo, tu sì avevi esagerato verso di me. “E che la palla rotoli ancora e ancora e ancora” il pezzo finiva così. Certo, Gianni, rotolerà ancora. A lungo.
Quando venivi, ogni volta era uno spettacolo. Con Pecci, Nevio Scala, Mondonico, Delneri, Savoldi, Tommasi, Sara Simeoni. Con Francesco Moser. L’ultima volta con Albertosi e Boninsegna.
Poi, come sempre, t’avevo accompagnato al “Rossi”. Come sempre ci si fermava lì fuori, , appoggiati alla macchina, prima di salutarci. Non so se avevi fumato una sigaretta.
M’avevi detto: “Raffa, mi diverto troppo: se non ti dispiace, mi prenoto per un altro giro in primavera…”. Se non ti dispiace, capisci? “E mi piacerebbe rivedere Lodetti, grande persona”, avevi aggiunto.
E poi, avevi preso la bottiglia di vino, “premio partita” della serata. Un “Ripassa” di Zenato, “ottimo vino” avevi detto. “Non lo porto in treno, tienilo tu, “ripassalo” alla nostra, eh”. Lo “ripasserò” di sicuro, Gianni. Ma non sarà la stessa cosa.
Raffaele Tomelleri