L’Autolesionismo è un fenomeno che negli ultimi anni interessa purtroppo sempre più adolescenti. Registra un’incidenza compresa tra il 15 e il 20% e presenta un’età media di esordio compresa tra i 12 e i 14 anni. Si caratterizza per la volontà di procurarsi delle lesioni in grado di produrre un dolore fisico. Il cutting (tagliarsi) il burning (bruciarsi) il branding (grattarsi) sono tutte forme che rientrano in tale ampia classificazione. L’autolesionismo non ha una radice univoca, racchiude vari tipi di comportamenti e di vissuti. Le variabili correlate a tali agiti sono le più diverse e le motivazioni sottostanti tendono a sovrapporsi e mescolarsi, dando sfogo a stati d’animo e situazioni non sempre definibili. Sembra piuttosto che tali manovre di autosabotazione siano un punto di arrivo di percorsi di vita e di sofferenza anche molto diversi tra loro. Per cercare di comprenderne il significato, bisogna chiedersi cosa l’adolescente sta cercando di “ottenere” tramite un simile gesto. Il procurarsi volutamente del male fisico può essere legato a comportamenti di “emulazione tra pari” per sentirsi quindi parte di un gruppo che agisce tali comportamenti, un tentativo di attirare l’attenzione dei genitori o di altre figure significative, un’autopunizione per colpe che si credono a proprio carico… Può costituire persino una strategia, anche se disadattiva, di coping e di regolazione emozionale, dove di fronte a uno stato emotivo percepito come intollerabile, ci si infligge un taglio al fine di far letteralmente uscire quel dolore interno e insopportabile cercando così di ripristinane uno diverso e più accettabile. Il comportamento autolesionistico può tentare quindi di spostare il focus dal dolore emotivo a quello fisico, perchè valutato come più gestibile. In ogni caso, si tratta di agiti che non dovrebbero mai essere sottovalutati, perché evidenziano un tentativo di comunicare, attraverso le ferite del corpo, quello che a parole non si riesce a spiegare, evidenziano una sofferenza psicologica e perché vi è il rischio di una loro escalation che può arrivare fino a comportamenti di tipo suicidario. È importante quindi per i genitori saper dove e come guardare al fine di riconoscere eventuali campanelli di allarme di un disagio che, si presenta spesso accompagnato da ritiro sociale, calo del rendimento scolastico, instabilità del tono dell’umore, cambiamenti alimentari, atteggiamenti di continua autocritica… E’ fondamentale inoltre prestare attenzione ai piccoli cambiamenti relazionali del quotidiano, nonché all’abbigliamento scelto per camuffare magari alcune parti del corpo o la tendenza a chiudersi in camera o in bagno per lunghi periodi. E’ necessario che il genitore tenga a mente che, per quanto possa apparire incomprensibile, questo è il modo che il figlio/a ha trovato per fronteggiare un momento di difficoltà. Riconoscere i segnali significa impedire che il problema si aggravi e si cronicizzi e iniziare ad aiutare i propri figli a incanalare in una modalità più adattiva le proprie sofferenze, contando sull’aiuto di un esperto.
Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta