“Quella notte col Benevento si presentò un Cavallo pazzo. Elkjaer, 3 gol per cominciare” SERIE A: un precedente di Coppa, per la sfida di stasera (20.45)

Tre eventi segnarono la mia estate del 1984, allora giovane studente di liceo attento ad altro piuttosto che ai libri. Innanzitutto, la scomparsa di Enrico Berlinguer stroncato da un’emorragia cerebrale durante un comizio a Padova. Ricordo l’enorme portata dell’onda emotiva che investì il Paese e unì gli italiani nel cordoglio.
In quegli stessi giorni Francesco Moser firmò proprio a Verona, una delle sue più belle imprese di sempre: la rimonta su Laurent Fignon nell’ultima tappa del Giro d’Italia, la cronometro da Soave a Verona che gli valse nel tripudio dell’Arena quella maglia rosa che aveva inseguito per tutta la sua carriera. E poi quelli erano anche i giorni dei campionati d’Europa di calcio in Francia, dai quali l’Italia campione del mondo era rimasta clamorosamente esclusa.
Fu il trionfo dello Champagne Football di Michel Platini, ma a conquistare noi veronesi fu un cavallone danese, Preben Larsen Elkjaer. In Francia la marcia dei ragazzi terribili di Sepp Piontek si arrestò alla semifinale persa ai rigori contro la Spagna.
Elkjaer, che allora giocava in Belgio nel Lokeren, lo conoscevo dal giugno del 1981 quando la Danimarca travolse per 3-1 gli azzurri a Copenaghen in un incontro valido per le qualificazioni ai mondiali di Spagna del 1982. Non segnò, ma ci fece ammattire. Ai mondiali ci andammo noi, e li vincemmo pure, ma quell’ira di dio non me l’ero dimenticata.
Nell’estate del 1984, Il Verona mise a segno un gran colpo di mercato, vero capolavoro per intuizione e tempismo. Un blitz di “Ciccio” Mascetti e il ragionier Rangogni in Francia duranti gli europei, così Elkjaer e il panzer Briegel vestirono la maglia gialloblù. Ricordo bene il pomeriggio del loro arrivo in città, in sella alla Vespa a stazionare davanti all’Hotel Vittoria in via Adua, dove i due soggiornavano. E poi la foto con la prima sciarpa dell’Hellas al collo.
La squadra di Bagnoli era già forte, veniva da un quarto e sesto posto nei primi due campionati in A, il battesimo in Europa e due finali di Coppa Italia sfumate contro Juve (una iattura) e Roma, ma fu con l’innesto di quei due che fece il salto di qualità.
E il balzo fu oltre le nostre più rosee aspettative. Già le prime amichevoli estive avevano mandato segnali in questo senso, ma la notte del 22 agosto 1984 fu l’occasione per il vernissage al Bentegodi, la prima uscita ufficiale in Coppa Italia contro il Benevento. Non andai in curva quella sera, ma presi posto in gradinata est con mio nonno Aldo, buonanima che ai destini del Verona ha dedicato la sua esistenza. Volevo godermela con lui quella serata.
Tutto facile: finì 4-2, Elkjaer si presentò alla sua nuova casa con una tripletta, e il suo terzo gol fu un saggio di cosa fosse capace di fare: raccolse un lungo lancio a sinistra, controllo, stangata di destro, biglia nel sette. Tutti in piedi in visibilio. «Eto visto che roba? – fece il nonno in preda all’estasi – Ah che semo forti. I gha da far i conti col Verona sto anno!». Nelle cose di calcio, ci vedeva piuttosto bene. E infatti…altro che conti: di lì a poco il Verona avrebbe fatto saltare il banco realizzando qualcosa di unico e irripetibile nella storia del campionato italiano. Quella calda notte d’agosto contro il Benevento, solo apparentemente insignificante, fu assai premonitrice. Bei ricordi.

Elle Effe