Quel giorno al Bentegodi si gioca Verona- Lecco. Hellas in corsa per la A. Finisce 0-0, una bolgia in campo. Un pazzo lancia una bottiglia, che si infrange sulla ringhiera degli spogliatoi. Le schegge di vetro colpiscono Facca, valoroso terzino del Lecco, che perderà un occhio e sarà costretto a reinventarsi una vita. Quella mano assassina e vigliacca non si è mai alzata per dire: “Sono stato io”. Oggi lo ricordiamo
Una mano assassina. Una mano vigliacca. Una macchia che la Verona sportiva non ha mai cancellato. Forse non lo farà mai, anche se il tempo ha percorsi difficili da capire e i rimorsi sono graffi sulla coscienza. C’era di mezzo, anche allora, una promozione in serie A. Il Verona di Saverio Garonzi e Nils Liedholm, la calda estate del ’68. In un Bentegodi gremito, c’è Verona-Lecco. L’Hellas insegue la A, il Lecco combatte per restare in B. Partita che sembra scontata e scontata non è. Finisce 0-0, il finale è una bolgia. Ma niente può giustificare quello che accade. Quel giorno, in un Bentegodi maligno, una mano vigliacca lancia nel vuoto una bottiglia. Le squadre stanno avvicinandosi alla scaletta degli spogliatoi, allora a un metro dal fossato. La bottiglia s’infrange sulla ringhiera, esplode. Mille schegge impazzite, diventano proiettili. Due giocatori del Lecco restano a terra, in un lago di sangue. Uno si rialza subito, si chiama Sacchi, è ferito solo alla mano. L’altro rimane a terra, il volto ridotto a una maschera rossa. Si tiene l’occhio destro. Urla. Si chiama Facca, numero 2, una vita da onesto difensore, 200 e passa partite con la maglia del Lecco. Lo medicano, lo portano all’ospedale di Borgo Trento. Ha schegge dappertutto, ma è soprattutto l’occhio destro a preoccupare. Lo operano d’urgenza, niente da fare. Facca perderà l’occhio, la gioia di giocare, forse, per un po’, anche quella di vivere. Non conoscerà mai il nome del vigliacco, autore del gesto. Facca fu costretto a reinventarsi un destino, operaio alla Zanussi di Pordenone, fino agli ultimi giorni della sua vita. “Ho perdonato quel gesto” raccontò molti anni fa. “Ma non potrò mai dimenticare. Non potrò mai capire, perchè quello non è più sport, non è più calcio. Facevo il difensore, le botte le davo e le prendevo, ma quelle facevano parte del gioco. Tutto il resto, no. Quel giorno, a Verona, finì il mio sogno, in quella maniera. Mi sarebbe piaciuto, almeno, sapere perchè, conoscere il nome di chi aveva fatto quel gesto. L’avrei perdonato anche di persona, forse avrei pure cercato di capire. Ma così, no. Così, mi resta dentro qualcosa che non posso cancellare. Anche se la vita va avanti e tu devi sempre fare i conti col presente, col futuro”. Il Verona cercò in qualche modo di aiutarlo. Organizzò un’amichevole col Portoguesa, formazione brasiliana. L’incasso, poco più di 5 milioni, fu destinato a Facca, che attese invano, notizie sulle indagini. “Niente, a un certo punto capii che non era più il caso di crederci. Forse avremmo potuto insistere, bussare ad altre porte, non arrendersi. Ma cosa avremmo ottenuto?”. Vinicio Facca, professione terzino, mastino che mordeva le caviglie, morì senza mai sapere che cosa spinse quel giorno un folle a compiere quel gesto. E nessuno, presente al Bentegodi quel giorno, neanche chi quel gesto l’aveva visto da vicino, ha mai confessato. Quel Verona, conquisterà più tardi la serie A. Il Bentegodi venne squalificato per 4 giornate, la serie A arrivò da Ferrara, campo neutro, Verona-Padova 1-0, gol di Italo Bonatti, la freccia di Castelmassa. Fu una promozione sofferta. Festeggiata con caroselli da Ferrara a Verona. Ma fu una promozione macchiata. Son passati più di cinquant’anni, una vita. Ma non è mai troppo tardi, neppure per risvegliare una coscienza.