2 agosto 1980. Ore 10,25 di un sabato in cui, alla stazione di Bologna, il caldo e l’afa toglievano il respiro. L’Italia in pantaloncini corti, canotte colorate, armata di palette e secchielli è pronta a partire per la villeggiatura. All’improvviso tutto scompare: un boato spaventoso avvolge in una nuvola e porta via con sé 85 persone,tutte quelle che trova sulla sua strada. Genitori, figli, bambini, nonni, nipoti. Muoiono tutti, vittime innocenti di una bomba messa lì da Giuseppe Valerio Fioravanti e dalla sua donna, Francesca Mambro , entrambi parte dei Nar. E Bologna pare soffocare, resa asfittica dalla scia di morte che il tritolo si lascia dietro. “Bologna capace d’amore, capace di morte” scrive in una sua canzone Francesco Guccini ed afferma “Quella mattina è tutta in quella frase. La morte, ma anche la gente che scavava a mani nude alla ricerca di qualche mano da afferrare”. Quel giorno a Bologna, come nell’Italia intera, si apre una ferita che non potrà mai essere rimarginata. Tutti ricordiamo dove eravamo e che cosa stavamo facendo, quel maledetto 2 agosto.
Anche l’Assessore del Comune di Nogara, Alessandro Andreoli, ripercorre con la voce rotta dalla commozione, quella mattina di quarantadue anni fa. . “Eravamo una compagnia di 6 ragazzi e, forti dei nostri sedici anni e storditi dall’adrenalina della nostra prima vacanza in autonomia dalle famiglie, attendevamo con impazienza quel treno che, arrivato poi con un’ora e mezza di ritardo, ci avrebbe portati al mare. Ricordo che era affollatissimo, tanto che trovammo posto in uno spazio di passaggio e ci sedemmo sulle nostre valigie…ma andava benissimo anche così. Alle 10,05 arrivammo alla stazione di Bologna e, contrariamente a quanto accadeva di solito, il nostro treno non si fermò sui binari 1 o 2 : distavamo da essi circa 200 metri. Tra ragazzi, si rideva e si scherzava, in attesa che il treno ripartisse.- continua Andreoli- Io ero seduto sul finestrino e stavo ascoltando la musica alla radiolina portatile. All’improvviso, un boato simile a quando gli aerei superavano la barriera del suono, squarciò come una lama quell’aria incandescente e mi fece cadere. Fummo tutti sgomenti: non capivamo che cosa fosse successo, mentre una raffica di detriti come una violenta ed interminabile grandinata, si abbatteva sul tetto del treno. Guardai fuori dal finestrino e vidi che la stazione era avvolta da una fitta coltre di fumo che via via si diradava, mostrando uno scenario surreale: la prima immagine che mi torna alla mente è quella di un ferroviere che teneva per mano una signora con il volto coperto di sangue… Dalla radiolina cominciarono ad arrivare le prime notizie: si parlò prima di una bombola del gas…poi dell’esplosione di una caldaia. Nel frattempo, il capotreno passò e ci disse che era vietato scendere e che pian piano saremmo ripartiti’’.
Dopo circa mezz’ora, cominciò a diffondersi la notizia che a provocare quel disastro era stata una bomba. “Tutti andammo nel panico totale. L’urgenza era chiamare a casa, per rassicurare le nostre famiglie , ma telefonare era impossibile perché alle cabine e nei sottopassi c’erano file interminabili ; successivamente i telefoni andarono in tilt. Non resistetti e volli andare a vedere con i miei occhi cosa fosse successo in quel giorno d’agosto: la scena che vidi era così straziante, che mi spaccò il cuore e non potei trattenere un pianto silenzioso e inarrestabile. Noi ripartimmo alle 15,35, ma quell’inferno non ce lo siamo lasciati alle spalle…non ce lo lasceremo mai alle spalle. Lo scenario era apocalittico: sirene, elicotteri, gente che gridava, odore di sangue e di morte. Il resto è storia – conclude Andreoli- che non dobbiamo dimenticare, che ci deve servire da monito per condannare ogni forma di violenza e di terrorismo da qualsiasi parte siano generati. Non esiste alcuna ideologia che possa giustificare la morte ed il sacrificio di vittime innocenti’’.
Isabella Soragna