Quando l’azienda svizzera Omega, che dal 1932 ha il compito di progettare e fornire i tabelloni elettronici in uso nelle competizioni olimpiche, chiede alla Federazione Internazionale di Ginnastica Artistica se sia necessario prevedere la possibilità di scrivere un 10, la Federazione risponde di no. È un’eventualità da non considerare nemmeno. E in effetti fino al 18 luglio 1976, nessuna ginnasta ha mai meritato quel punteggio in una competizione olimpica.
Nadia Comaneci ha quattordici anni. Nata nella Romania del dittatore Ceaușescu, viene scoperta dall’allenatore Béla Károlyi quando ancora frequenta la scuola materna. “Chiesi chi sapeva fare una ruota e Nadia non esitò ad esibirsi”. Dai quattro anni in poi, la ginnastica artistica diventa per lei tutto ciò per cui ha senso alzarsi la mattina. Il centro tecnico di Károlyi, con il suo regime da caserma, diventa la sua casa. Si allena, instancabile, tutti i giorni. Segue le regole ferree dettate da Béla, il suo mentore. Assume al massimo 900 calorie al giorno, questa la disciplina imposta per far sì che atlete come Nadia mantengano un corpo adeguatamente snello e l’agilità necessaria a svolgere in maniera impeccabile i virtuosismi degli esercizi.
Intervistata in aeroporto prima della partenza per il Canada, la quattordicenne Nadia dichiara cristallina che le piacerebbe vincere una medaglia e che sarebbe contenta se quella medaglia fosse proprio d’oro.
18 luglio del 1976: secondo giorno di Olimpiadi. L’esercizio alle parallele asimmetriche rappresenta una sequenza obbligatoria. Una sequenza che Nadia, come le altre ginnaste in gara, ha provato e riprovato centinaia di volte, sino a ricordarne anche ad occhi chiusi ogni minima frazione.
Per un’atleta preparata e forte come lei, una sequenza obbligatoria può risultare addirittura noiosa, seppure non priva di insidie. Nei video che la ritraggono alle parallele, la Nadia quattordicenne di allora ha lo sguardo concentrato, un volto infantile ma sicuro, l’espressione decisa di chi domina una situazione e non ne è intimorita, sebbene sia conscia di giocarsi tutto in una manciata di secondi, 25 per la precisione.
“Pensavo di aver meritato un 9.95”
“Si trattava di una sequenza obbligatoria, ma feci qualcosa di diverso. Misi un mio tocco personale, a Nadia’s touch. Cercai di pensare ogni movimento, ogni presa, ogni evoluzione, come se fossero più ampi. Cercai di renderli più grandi”.
Terminato l’ultimo volteggio, Nadia lascia la pedana senza guardare il tabellone. È solita autovalutarsi. Sa giudicare la bontà della propria prestazione. È un concentrato di consapevolezza e potenza, una minuta macchina da guerra. Ma è la sua guerra e sa anche come divertircisi. Sente di aver fatto bene e di aver meritato probabilmente un 9.95. Ma poi sente un boato. Il pubblico del Forum di Montreal pare impazzito. E allora Nadia si volta a scrutare il tabellone e non riesce subito a realizzare ciò che vede. Sul display, a caratteri cubitali, lampeggia un 1.00.
La votazione, dopo una prestazione più che perfetta, viene dapprima ritardata poiché i computer sono programmati per registrare votazioni fino al 9.99.
“Sapevo di aver fatto bene come quando prendi un 10 in matematica, a scuola…”
Il “10” non è stato contemplato e non esiste un modo di scriverlo. Nell’impossibilità di riportarlo, viene dunque inserito il voto 1.00. Dopo alcuni momenti di confusione, il commentatore – con voce quasi rotta dall’emozione – annuncia che per la prima volta nella storia della ginnastica un esercizio è stato giudicato “perfetto”. Quell’1.00 acceso, che passerà alla storia come “a perfect ten”, rappresenta l’unico modo possibile per scrivere ciò che fino ad allora era ritenuto impossibile, attribuire la perfezione di un 10 ad una ginnasta. Nel corso dell’evento olimpico Nadia otterrà il punteggio perfetto altre 6 volte, vincendo tre medaglie d’oro, una d’argento, e una di bronzo.
Ci si dice spesso che non si è solo un numero. Un 100 alla maturità, un 30 ad un esame, un 60 di giro vita, un 110 senza lode. E forse questo vale ovunque tranne che nello sport. Lo sport è fatto di tempi, di misure, di goal, di punteggi, di numeri. E quei numeri fanno ne fanno la storia, sanciscono ciò che resterà scritto, record da battere, primati da ricordare e cercare di migliorare. Gli atleti stessi sono – anche – quei numeri, sono i loro record, siano essi personali o mondiali. Dentro quei numeri stanno il tempo speso, il sacrificio costante, la ripetizione di un gesto fino alla sua perfezione, il sudore, il fiato da rompere e i muscoli che gridano, la paura di non farcela, il terrore dannato di non riuscire a superarsi un’altra prova ancora. Nel 10 perfetto di Nadia c’erano già dentro tutti i suoi 14 anni, le 900 calorie al giorno, i 25 secondi di esercizio, i 5 anni di relazione “imposta” con Nico Causescu, figlio del dittatore, 1 tentativo do suicidio, le 6 ore di cammino a piedi che affronterà anni dopo, nel 1989 per abbandonare la Romania, per andarsene in Canada e negli USA poi dove verrà accolta come rifugiata politica.
“Sapevo di aver fatto bene il mio esercizio ed ero contenta, come quando si prende un 10 in matematica. Come quando si è il primo della classe a scuola. Non sapevo che prima di me nessuno lo avesse mai preso alle Olimpiadi”.
Non si può pensare alla storia di Nadia, senza ricordare le parole di Bertrand Russell, didascalia perfetta di un 10 altrettanto perfetto. “Gli innocenti non sapevano che la cosa era impossibile, così la fecero”.
Giulia Tomelleri