Nella stagione 1984/85 il Verona conquistò un memorabile scudetto. La squadra di Osvaldo Bagnoli prese in mano la testa della classifica sin dalla prima giornata, battendo all’esordio il Napoli di Maradona, senza mai più abbandonarla. Mattoncino dopo mattoncino i gialloblù divennero ben presto la squadra da battere e nessuno, pur provandoci, riuscì a fermare quell’incredibile cavalcata. Uno dei mattoni più importanti fu posto già alla sesta giornata quando il 21 ottobre 1984 il Verona fece visita alla Roma. La partita terminò senza reti e l’indelebile firma su quel pareggio la misero i guantoni di un immenso Claudio Garella. In quel pomeriggio romano di fine ottobre il portiere gialloblù divenne un muro insuperabile. A gonfiare la rete, a turno, ci provarono in tanti tra i giallorossi, da Falcao a Cerezo, a Iorio fino a Pruzzo e Di Carlo, ma Garella riuscì a disinnescare ogni pericolo. Per dare una chiara testimonianza di quale partita disputò quel giorno l’estremo difensore scaligero è sufficiente citare il 9 in pagella assegnatogli dalla Gazzetta dello Sport, quotidiano sportivo storicamente poco avvezzo nel dare voti di tale portata. Molti ricordano le parole dell’avv. Giovanni Agnelli che in un’intervista disse che «Garella era il più forte portiere del mondo, però senza le mani» rimarcando il fatto che nel respingere le conclusioni avversarie ricorreva spesso a piedi, braccia e corpo.
In effetti lo stile non era impeccabile, quasi sgraziato, ma tremendamente efficace. E quel giorno, davanti alle arrembanti offensive giallorosse, Garella diede spazio al suo più ampio repertorio. Le parate furono le più disparate, ma diabolicamente utili a mantenere la porta inviolata. Per Garella, che in quella stagione visse la sua definitiva rinascita e consacrazione, quella partita rappresentò anche una sorta di piccola grande rivincita. In quello stadio, infatti, ma con la maglia della Lazio, fu infelice protagonista di alcune papere, le famose “garellate”, che gli valsero il non certo ambito soprannome di Paperella.
Quel giorno, pertanto, diventò per lui l’inizio di un nuovo capitolo della sua storia, che lo avrebbe portato, dopo lo scudetto con il Verona, a conquistare due anni più tardi un altro titolo tricolore con la maglia del Napoli.
Negli spogliatoi, al termine di quel rocambolesco pareggio, Garella sorrise davanti a un arrembante Giampiero Galeazzi che gli suggeriva il nuovo nomignolo di Garellik, simpatica etichetta che lo avrebbe accompagnato in una seconda parte di carriera sicuramente più densa di meritate soddisfazioni. In quella stagione furono altre le partite nelle quali il portiere di origini piemontesi pose la sua indelebile firma, contribuendo alla realizzazione di un sogno che mandò in estasi l’intero popolo gialloblù. Quel pomeriggio di Roma, però, rimane ancora oggi un fermo immagine indimenticabile.
Enrico Brigi