“Cleopatra va in prigione” di Claudia Durastanti (2016, Minimum Fax)
Un night deve avere le stesse luci degli acquari; è più facile andare in fondo se quando ti guardi allo specchio sembri una sirena, una creatura che non esiste.
Così si dice Caterina, che ogni giovedì va a trovare Aurelio, il suo ragazzo, nel carcere di Rebibbia. Entrambi figli della periferia romana, in passato hanno provato a gestire un night assieme, ma le cose non sono andate come speravano. E Caterina, che coltivava il sogno di diventare ballerina classica, si è ritrovata a lavorare come spogliarellista, mentre Aurelio è finito in prigione, convinto di essere stato incastrato.
Caterina è una roccia, è una che sorride e annuisce, una che evita di addossare il suo dolore a qualcun altro. E alle volte si sente un po’ un’eroina. Soprattutto quando pensa a come ha reagito a certi dolori, come quando lui l’ha sbattuta contro un muro, fratturandole l’anca, fratturandole i sogni. senza che lei lo raccontasse mai a nessuno.
Il poliziotto invece, quello che ha arrestato Aurelio, è diverso. A poco a poco e un po’ all’improvviso si avvicinano, anche se Caterina è sempre trattenuta, sempre restia a mostrarsi vulnerabile, perché sa che dalla tenerezza non si torna più indietro.
Claudia Durastanti tratteggia una storia struggente e ci restituisce una fotografia nitida della periferia urbana, che è il vero luogo in cui nascono le storie.
Un romanzo a tratti duro, che sullo sfondo di una Roma più ampia e oscura di quella che siamo portati a immaginare, ci racconta la difficoltà di affrontare la cadute e di continuare ad aderire a se stessi.
G. Tom.