Un fenomeno che si sta diffondendo sempre più a livello internazionale è quello del Cyberbullismo, che può essere definito come l’insieme di azioni aggressive, deliberate e ripetute, attuate da uno o più perpetratori, attraverso strumenti elettronici (pc, smartphone e tablet), con l’obiettivo di danneggiare e/o isolare uno o più soggetti che non possono difendersi (Smith et al., 2008; Hinduja & Patchin, 2009). Una lettura del fenomeno è connessa all’ipotesi neuroscientifica di un’alterazione a livello del sistema di neuroni a specchio, che sottenderebbe una compromissione nella responsività empatica del cyberbullo. La “simulazione incarnata” è un processo biologico secondo cui quando una persona ne osserva un’altra, compiere una determinata azione e/o sperimentare una certa emozione, attiva in sè non solo le medesime reazioni fisiologiche, ma anche le stesse strutture neuronali. Considerando le esperienze e i sentimenti di un’altra persona, si sviluppa empatia che consente poi di riuscire a vedere le cose dal punto di vista degli altri e di provare emozioni simili. Nell’epoca della “rivoluzione digitale” in cui scarseggiano le relazioni vis a vis a favore di quelle virtuali, il rischio è di essere meno abituati ad allenare il “sistema specchio” e di non favorire la simulazione incarnata con la conseguente carenza nel riconoscimento delle emozioni altrui e nell’espressione poi di una possibile risposta empatica. Gli studi ci dicono che i cyberbulli non solo mancano di empatia nel dominio affettivo, ma sono anche incapaci di calarsi nelle vesti dell’altro. Altri fattori importanti nel Cyberbullismo sono la mancanza di regolazione emotiva e il disimpegno degli standard interni e morali. Essendo un fenomeno recente, risulta importante effettuare nuovi studi scientifici per meglio comprenderne i meccanismi e poter attuare interventi clinici mirati. Un aspetto fondamentale sembra essere la promozione, a tutti i livelli di attività, di situazioni che coinvolgano socialmente i ragazzi, che stimolino le loro competenze sociali ed empatiche e che allenino le loro capacità di assunzione della prospettiva altrui, ponendo le basi per lo sviluppo delle connessioni cerebrali che sottostanno a queste abilità. È sostanziale, quindi, promuovere e implementare l’apprendimento socio-emotivo tra bambini e adolescenti, sia nelle scuole che nell’ambiente familiare. Si tratta dunque di fare emergere comportamenti collaborativi stabili e costruttivi. La capacità di entrare in risonanza con il sentire dell’altro, è una facoltà che va incentivata e promossa. *Sara Rosa, psicologa e psicoterapeuta