Quando l’etica e l’onestà ti costano la vita. La mostra in Gran Guardia dedicata al giudice Rosario Livatino Il magistrato siciliano ucciso dall’organizzazione criminale della Stidda a soli 37 anni

Si svolgerà dal 9 al 21 marzo la mostra multimediale in Gran Guardia dedicata a Rosario Livatino, il magistrato siciliano ucciso dalla mafia a soli 37 anni, nel 1990. La mostra a Verona è stata promossa dalla libera associazione forense, dall’Ordine degli Avvocati di Verona, dal Comune, dal Tribunale, dalla Diocesi, dall’Associazione culturale “Rivela’’ e dal centro di cultura europea Sant’Adalberto.

LA VITA Rosario Angelo Livatino nasce a Canicattì il 3 ottobre del 1952, dove in età adolescenziale frequenta il liceo classico “Ugo Foscolo’’. All’età di 23 anni si laurea con lode alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo e tre anni dopo vince il concorso in magistratura. Dal 1979 al 1989 è sostituto procuratore al Tribunale di Agrigento, anni in cui, dopo aver conseguito il corso di preparazione, riceve il sacramento della Comunione. Diventa poi giudice nella sezione penale dello stesso Tribunale. Durante questi anni estremamente complicati caratterizzati dalla moltiplicazione di fatti di criminalità mafiosa, tangenti e corruzione per appalti pubblici, Livatino si occupa del contrasto di questi fenomeni esercitando la professione di magistrato in modo serio e rigoroso. Il suo motto era “Sub Tutela Dei’’, il significato della vita per lui era racchiuso in queste tre parole, non sotto la tutela dei più potenti, ma dentro la protezione e l’abbraccio della grandezza di Dio. Rosario Livatino in diverse conferenze sul tema della giustizia e sul ruolo del giudice delinea la figura del magistrato dotato di una forte etica, apolitico e autonomo. Il suo pensiero si concilia anche con una grandissima fede cattolica che lo accompagna per tutta la sua vita. Rosario riusciva ad applicare egregiamente la legge umana alle ingiustizie che affliggevano in quel momento storico il suo territorio e la sua gente, ben consapevole però che “La giustizia è necessaria, ma non è sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, verso il prossimo e verso Dio’’. Ma fu proprio la sua capacità di realizzare sentenze così ben costruite da reggere tutti i gradi di giudizio successivi che gli costò la vita.

L’ATTENTATO La sua uccisione, avvenuta il 21 settembre del 1990, si consuma lungo la statale 640 Agrigento-Caltanissetta quando quattro killer armati di mitra, fucile e pistole appartenenti all’organizzazione criminale mafiosa della Stidda attentarono alla sua vita. In quel momento però si verifica un fatto molto insolito, quasi una sorta di miracolo: un direttore commerciale lombardo, Pietro Nava, in Sicilia per lavoro, vede dallo specchietto retrovisore della sua auto la Ford Fiesta del giudice mentre veniva affiancata da un’altra auto e da una moto dei killer. Prontamente avverte le Forze dell’Ordine e riferisce i dettagli di tutto ciò che ricorda, fu proprio questo gesto che permise alla polizia di risalire agli esecutori materiale dell’omicidio.

LA PROCLAMAZIONE A BEATO Nel 2006, la Chiesa italiana riunitasi a Verona con Papa Benedetto XVI segnala Rosario Livatino tra i “modelli di vita cristiana’’ nonché “testimone del XX secolo’’. Egli infatti aveva un metodo di approccio alla vita privata e professionale che non è stato solo un esempio per gli uomini di legge, ma per qualsiasi persona di qualunque professione e età. La Congregazione per le cause dei santi lo ha riconosciuto martire e il 9 maggio 2021 nella cattedrale di San Gerlando ad Agrigento è stato proclamato beato dal cardinale Marcello Semeraro. Una vita dedita agli altri, basata sulla giustizia e un forte attaccamento alla vita, un testimone dell’operosità e del desiderio di verità. Questo, e molto altro, è stato Rosario Livatino.

Francesca Brunelli