Si vive in una società in cui la donna deve rappresentarsi agli altri come poco disposta a pratiche sessuali anche se legate al proprio lavoro di modella o attrice. Spesso si sorride, si giudica e si arriva a disprezzare, altre volte si preferisce evitare di parlarne. Una donna come Carol Maltesi, orrendamente uccisa, viene rappresentata come particolarmente disinibita, viene considerata purtroppo, anche inconsciamente, non esplicitamente, poco bene. Da questa sottocultura retrograda si arriva poi agli estremi e conseguentemente a punire il corpo della donna con la violenza. Occorre sfatare una “comune ipocrisia”: non tutte le donne che si prestano a vendere le proprie prestazioni sessuali sono costrette a farlo. A volte lo fanno semplicemente per le più svariate ragioni, tra cui quella economica. Accanto alla “prostituzione coatta” (che costituirebbe non più del 20% del mercato, secondo i dati forniti da organizzazioni come il Censis e Parsec) esiste anche una “prostituzione volontaria”; la “non prevalenza” della costrizione nella prostituzione, del resto, è stata affermata anche dall’osservatorio sulla prostituzione del Ministero dell’Interno (composto da molte tra le più reputate organizzazioni di assistenza).
Il primo salto evolutivo culturale che dovremmo fare, sta nel sostituire due definizioni di utilizzo comune: “prostituta” e “puttana”, con sex worker. I sex worker non sono soltanto soggetti deboli, soggiogati, sfruttati o “costretti” a vendersi (come qualche moralizzatore vorrebbe farci credere), ma anche persone che scelgono liberamente un lavoro che attualmente non è regolamentato. Il secondo salto evolutivo che noi tutti dovremmo fare, riguarda la scelta libera delle persone. La “libertà di espressione sessuale” di ogni persona, anche se quest’ultima sceglie di vendere le proprie prestazioni sessuali, dovrebbe essere sempre rispettata. Vendere le proprie prestazioni sessuali sarà pure un “peccato” o una condotta immorale per molti, ma questo non basta a trasformare tale comportamento in un reato.
“Vendere” il proprio corpo rientra, piaccia o non piaccia, tra quelle libertà personali garantite dalla Costituzione (art. 13) e meritevoli “sempre” di tutela nei limiti in cui non incidano sulla “pari libertà” altrui. Perché allora, non tollerare (e regolamentare) la “libera e consapevole” scelta di un soggetto maggiorenne (uomo o donna che sia) di concedere prestazioni sessuali dietro controprestazione?
Una regolamentazione da parte del legislatore dei sex worker consentirebbe di:
– far emergere la prestazione sessuale “volontaria” (sull’esempio di quanto avvenuto in altri paesi europei, dove questa ha trovato forme legali di svolgimento, minimizzando i costi che ricadono sulla società e sulle persone che svolgono l’attività);
– perseguire più efficacemente la prostituzione “coatta”, ossia il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione.