Un guerriero. Un capitano coraggioso, prima che la fascia diventasse Pellissier-dipendente. Sì, prima del bomber, stava benissimo sul braccio di Lorenzo D’Anna, leader silenzioso di una squadra formidabile. Uomo di poche, pochissime parole, Lorenzo D’Anna. Uno di quelli che l’esempio lo dava sul campo. In allenamento. Nello spogliatoio. In silenzio. Uno lo guardava e aveva già capito quale era la legge del Chievo. La “legge di D’Anna”. Se c’era da menare, menava. Se tirava brutta aria, lo trovavi sempre in prima fila. Mai fatto un passo indietro, D’Anna. Memorabile un flash in un Roma-Chievo, decisiva per la salvezza, l’anno in cui toccò a Icio D’Angelo guidare il Chievo dopo l’esonero di Mario Beretta. Al Chievo serviva un punto, la Roma non aveva problemi. Ma nella Roma c’è Francesco Totti, che fa due tre numeri dei suoi, nei primi minuti. “Ci penso io”, dice D’Anna. Alla prima palla “buona”, affonda il tackle, su Totti. Come a dirgli “gira al largo, non è giornata”.
Finirà 0-0, Chievo salvo. D’Anna era questo e molto altro ancora. Un esempio, per tutti. Per i vecchi e per i nuovi. Poi anche per i ragazzi della Primavera, di cui è stato per anni un maestro. Fino a convincere Campedelli di poter guidare anche i grandi. Peccato, col senno di poi, che non abbia avuto il tempo di provarci per davvero. “Troppo ruvido, poco diplomatico”, l’accusa. Ma forse, avrebbe avuto semplicemente bisogno di tempo. Forse lui ce l’avrebbe fatta a raddrizzare la baracca. E’ stato una bandiera e non avrebbe meritato di chiudere così, la sua storia col Chievo. Anche questo, in fondo, resta un grande rimpianto…