Miteni era a conoscenza che il proprio ciclo produttivo rilasciava Pfas nell’ambiente, e delle conseguenti problematiche di rischio sanitario, ma non ha agito in modo sufficiente e adeguato, anche in termini di prevenzione, per evitare la contaminazione della falda acquifera. Un fatto che troverebbe conferma nell’udienza svoltasi oggi alla Corte d’Assise del Tribunale di Vicenza, che ha visto il susseguirsi delle deposizioni di alcuni ex dipendenti dell’azienda.
Due gli aspetti più significativi emersi, dai quali si evincerebbero le responsabilità di Miteni: pur nella consapevolezza dei vertici dell’industria che le varie fasi della produzione emettevano le note sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate, e che il sistema dei carboni si saturava per effetto di tutti i tipi di contaminanti oggettivamente presenti, il sistema di analisi acque, e di conseguenza di cambio dei carboni, risultava inadeguato e insufficiente a garantire l’efficienza dell’abbattimento dei Pfas. Non solo: in tal contesto, i Pfas non venivano neppure ricercati e, a fronte di un sistema di trattamento delle acque che dal 2005 al 2013 era sempre rimasto uguale, il cambio carboni prescindeva proprio dai Pfas e dai loro effetti.
Anche il monitoraggio generale della barriera per l’emungimento delle acque era del tutto eventuale e non strutturato. Inoltre, i Pfas non venivano ricercati neppure nei reflui addotti al depuratore, presso il quale il cambio dei carboni prescindeva pure dalla considerazione degli effetti che la presenza dei Pfas determinavano sulla durata dei carboni stessi.
L’avvocato Marco Tonellotto, che con i colleghi Angelo Merlin e Vittore d’Acquarone assiste Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi, costituitesi parti civili, commenta così: “Gli elementi emersi dalle deposizioni degli ex collaboratori di Miteni accreditano ulteriormente la nostra tesi, già avvalorata nelle scorse udienze dalle dichiarazioni del maresciallo Tagliaferri, secondo cui l’azienda, pur essendo a conoscenza della portata del fenomeno inquinante, non ha adottato le misure necessarie prima per evitarlo e poi per limitarlo, peraltro con un atteggiamento deficitario di trasparenza e chiarezza anche nei confronti delle società idriche”.
Gli imputati sono 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.