34 milioni di dollari di budget a fronte di 326 milioni di incassi, decine di cast per trovare i giusti interpreti, innumerevoli cambi d’abito per gli attori, centinaia di messe in onda televisive, gli immaginari cinematografici e del fashion business completamente rivoluzionati. Questi i magici numeri de Il Diavolo veste Prada, iconico film di David Frankel che fa del duro universo dell’alta moda il suo impero e che lo scorso 30 giugno ha festeggiato il quindicesimo anniversario dal suo arrivo in sala.
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2006, il film aveva riscosso subito un grande successo, creando una vasta platea di spettatori affascinati da questo nuovo scorcio sul mondo della moda e dalle mirabolanti avventure di Andy Sachs, aspirante giornalista e neo-assistente di Miranda Priestly, mostro sacro della moda americana e direttrice di Runway, la rivista «faro di luce» per tutti gli appassionati del settore.
Come spesso accade con il materiale di qualità, il film ci sembra invecchiato benissimo, e se per un’opera non è facile farsi largo nell’olimpo dei cult, Il Diavolo veste Prada si è da tempo guadagnato un posto su uno dei troni più scintillanti del magico reame delle commedie. Commedia? Sì, di certo ironia e battute brillanti dominano i toni della narrazione, ma tra l’«È tutto» bisbigliato da Miranda e il maglioncino ceruleo infeltrito di Andy, il film – tratto dal libro di Lauren Weisberger – si cura di trattare con grande acume i temi dell’etica professionale, del sessismo tipico degli ambienti perfidi ed esclusivi, di onori e oneri dell’essere un leader – e di essere il migliore – e del confine tra sopravvivenza e prevaricazione.
A confermare la forza dell’opera di Frankel gli attori stessi, che per occasione si sono riuniti in una tavola rotonda virtuale, ponendo l’accento su alcuni aneddoti e sull’anima femminista della pellicola: «[…] la nostra società è abituata a vedere il mondo attraverso gli occhi degli uomini, […] questo film ha iniziato a segnare un cambiamento», ha detto Stanley Tucci (aka Nigel, braccio destro di Miranda), ricordando il peso delle protagoniste nelle dinamiche del film.
A ribadire il carisma del big boss di Runway anche Meryl Streep, che con la sua interpretazione ha fatto la storia e che nella call ha menzionato il legame che collega il suo personaggio ad Anna Wintour, direttrice di Vogue US: «Non ero interessata a fare un film biografico su Anna, ero interessata alla sua posizione nell’azienda. Volevo assumere su di me i fardelli che lei doveva portare».
In gran parte suo il merito di aver costruito una delle icone femminili meglio sfaccettate del cinema e di averla fatta diventare simbolo di uno status cui aspirare per raggiungere non tanto la popolarità, ma la propria realizzazione personale, come leader e come donne in un mondo che, oggi più di allora, richiede eccellenza e impegno in ogni piccolo gesto quotidiano. Perché gli anni passano, ma tutti ancora «vorremmo essere loro».
Maria Letizia Cilea