Mercoledì 30 novembre il teatro parrocchiale di Povegliano ha ospitato una conferenza dal titolo ‘Quale comunità per una nuova economia? Relazioni e sussidiarietà per il bene comune’; è intervenuto un professionista di respiro internazionale, il professor Stefano Zamagni, economista e accademico, Senior Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University, professore emerito di economia politica e preside della facoltà di economia all’università di Bologna, presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali del Vaticano e presidente dell’agenzia per il terzo settore. Il dibattito si è aperto con un invito alla cittadinanza in sala: riprendere consapevolezza. Prima di tutto consapevolezza dei tre attori che devono necessariamente collaborare quando si tratta di comunità: ente pubblico, business community o mondo delle imprese e infine terzo settore, dalle cooperative alle associazioni. Questi punti cardine, se interagiscono costantemente, possono riuscire ad individuare risorse, priorità e modalità di gestione delle stesse, analizzando il quadro generale da più punti di vista. È ciò che si chiama sussidiarietà circolare, entrata nella riforma della Costituzione Italiana circa vent’anni fa. Collaborare, stare insieme, relazionarsi per migliorare la felicità percepita e la realizzazione del bene comune, in un’ottica per cui nessuna decisione va a discapito degli altri attori coinvolti. Come fare che questo accada? Cercando di seguire sempre il bene comune, ben diverso dal bene totale. Il secondo rappresenta il PIL, la somma dei beni delle persone che sono parte di una comunità. Il primo invece è più incentrato sui singoli e non valuta la possibilità di lasciare indietro le minoranze a favore del bene collettivo. Qui ognuno conta e ha qualcosa da dire. In un quotidiano che inasprisce le disuguaglianze, tornare ad essere empatici e mettersi nei panni dell’altro è un lusso, anche se dovrebbe essere un atteggiamento diffuso per vivere bene, insieme. «La socievolezza è un punto molto importante da considerare quando si parla di comunità – commenta Zamagni – Si tratta non solo di condividere spazi e circostanze, bensì di riconoscere che i limiti dell’uno possono essere colmati dall’aiuto dell’altro, cercare la condivisione e il supporto reciproco. La parola chiave qui è reciprocità: come in una famiglia, dove un membro non fa qualcosa perché si attende un premio o un favore di uguale valore in cambio. Lo fa perché lo sente ed è felice di portare il suo contributo. Come sarebbe allora una comunità nella quale un cittadino crede fortemente in un progetto che ha proposto personalmente, ascoltato dall’Amministrazione comunale non solo in periodo di elezioni ma costantemente? Potrebbe decidere di finanziare alcune iniziative, partecipare attivamente alla vita di comunità e senz’altro rafforzare il suo impatto sociale. È un dare senza perdere e un prendere senza togliere.» Ecco che per il buon funzionamento della vita insieme servono la reciprocità che la comunità deve instaurare, lo scambio (sul quale si base l’economia) e infine il comando (il rispetto delle leggi dello stato). Per una democrazia, come la definisce Zamagni, deliberativa, in cui i cittadini hanno lo stesso peso dei cosiddetti poteri forti. Utopia? Forse no. Ma ad un compromesso: mostrarci fragili agli occhi dell’altro. Ci siamo abituati infatti a non mostrarci deboli o incapaci di ‘fare da noi’, col risultato che siamo diventati più tristi e soli. Disillusi e sfiduciati che possa davvero cambiare qualcosa. Chiedere aiuto e dire la propria invece diventa la nuova sfida dalla quale (ri) partire.
Beatrice Castioni