Tra le definizioni più diffuse dell’epoca intellettuale e culturale attuale vi è quella di età del postmoderno, e della postverità. Una definizione di questo tipo segnala, sin dalla sua etimologia, almeno un paio di fattori: innanzitutto, il fatto che è talmente difficile per un’epoca pretendere di autodefinirsi che il risultato è utilizzare una particella che specifica un termine, piuttosto che un termine a sé stante – come può essere, per fare un esempio, il lemma Illuminismo.
D’altra parte, queste parole composte dal prefisso post- sono a loro modo inquietanti, per il contenuto che suggeriscono, e che può segnalare, in modo per giunta non esclusivo, tanto la consapevolezza di un trapasso da un’epoca che è stata definita moderna, e congiuntamente l’incapacità di comprendere effettivamente in cosa si è trapassati, e d’altro canto una perdita di fiducia in un sistema di valori e di credenze, e nel modo di determinarle.
In effetti, nel momento in cui si definisce un’età età moderna – espressione che usualmente denota l’arco di tempo dalla scoperta dell’America ai primi dell’Ottocento, cosa viene dopo? Non siamo forse anche noi moderni? In altre lingue, come nell’inglese, il problema non si pone: la modern history è la storia che noi chiamiamo storia contemporanea, mentre la branca di studi che noi definiamo storia moderna è detta early modern history, la disciplina che si occupa di quel periodo che anticipa il nostro, e che difficilmente viene definito se non in rapporto al nostro. Cosa significa dunque postmodernità e postverità? Con questi termini si intende indicare la consapevolezza di una crisi di valori, di sistemi etici e scientifici che è veicolata anche, ma non solo, dal cambiamento repentino, assai più rapido di quanto accadeva in passato.
Un esempio in particolare è di interesse, e riguarda la categorizzazione di postverità, tanto più attuale in quanto risponde pienamente a fenomeni molto diffusi tramite i nuovi – ormai nemmeno più molto – mezzi di comunicazione. Si ritiene – non importa se a ragione o a torto – che in passato la verità fosse una categoria granitica e intangibile, mentre oggi, al contrario, i suoi confini sarebbero più labili e indefiniti. L’accento costantemente posto sul dato scevro da ogni contaminazione è una reazione per contrario al fatto che il dato deve sempre essere interpretato, e non esiste di per sé; ma in un’epoca in cui l’opinione su un fatto precede la conoscenza dello stesso, come sempre avviene nell’espressione social, si cerca di tornare alla considerazione dei fatti come se essa non fosse oggetto di riflessione in quanto tale.
La conseguenza è che non esiste più una verità: esiste la verità di chi parla, che ritiene di potersi sempre esprimere senza alcun tipo di limite. Con ciò non si vuole negare la libertà di parola, come è ovvio; si intende ricordare che ogni libertà implica sempre una responsabilità, soprattutto quando è molto estesa, e che la ricerca della verità deve essere sostenuta e fondata, e non si qualifica solo per l’espressione che se ne dà.
EffeEmme