Quando Verona e Napoli si trovano di fronte, i ricordi dei tifosi gialloblù di vecchia data, tornano sempre a una sfida degli anni 60, avvolta ancora oggi da un alone di fitto mistero. Allora le due squadre si giocavano la serie A. Tra tentativi di corruzione annunciati e prove incredibilmente sparite, la rete di un certo Corelli regalò la promozione ai partenopei, condannando il Verona a un altro anno in cadetteria. A distanza di anni i malumori sono rimasti intatti. Uno dei protagonisti di quel confronto così lontano nel tempo è l’85enne Guido Postiglione, napoletano doc, allora centravanti goleador di quel Verona. «Quella partita mi è rimasta qui – racconta oggi l’ex attaccante gialloblù – in serie A dovevamo andarci noi, altro che loro». La vigilia di quella sfida fu molto agitata. «Il nostro portiere Ciceri – confessa Postiglione – fu avvisato dalla Procura di un tentativo di corruzione da parte del Napoli e invitato a stare al gioco. Alcuni dirigenti partenopei, inoltre, tramite mia mamma, mi chiesero di non giocare quella partita, promettendomi l’anno dopo, una volta tornato a Napoli dopo il prestito al Verona, un ingaggio di 15 milioni. Una cifra enorme per quegli anni. Lo dissi al Presidente Sartori il quale mi chiese di stare zitto. Le prove in possesso della società erano schiaccianti e non voleva che io corressi rischi inutili una volta tornato a casa». La partita, peraltro, subì anche uno sospetto rinvio. «Quel giorno al vecchio Bentegodi pioveva molto ma si poteva giocare. Il campo era fangoso ma praticabile. L’arbitro, invece, decise per il rinvio. Forse – è il suo sospetto – su volere proprio della FIGC». Giorni dopo le due squadre tornarono in campo. «Vinse il Napoli con una rete di Corelli. Noi, comunque, eravamo sicuri della vittoria a tavolino. Qualcuno giocò forse con un pizzico di comprensibile sufficienza. Io no, però – tiene a precisare – giocai quasi risentito per tutto quello che era successo. Feci una grande partita, cogliendo anche un palo. Fui uno dei migliori anche se qualcuno sospettò di me per le mie origini». Alcuni giorni dopo, arrivò invece la tremenda beffa. «Fummo chiamati a testimoniare io, Ciceri e il Presidente Sartori. Ci venne imposto di rispondere solo alle domande, senza poter dire quello che in realtà era successo. C’erano registrazioni audio e filmati con passaggi di soldi che stranamente divennero inutilizzabili. Secondo me fu tutto deciso a tavolino. Pensate che l’inquisitore, un certo avvocato Dario Angelini, anni dopo divenne addirittura un dirigente del Napoli». A fine stagione fece ritorno a Napoli. «Vero, ma chiesi di essere ceduto. Andai prima a Bari e poi a Palermo dove mi presi anni dopo la mia personale rivincita. Battemmo il Napoli 4-0, io segnai due gol, e loro non andarono in A. Quel calcio, però, mi aveva stufato e a 27 anni decisi di smettere. Sono stato amministratore delegato di alcune aziende e ora che sono in pensione mi sono messo a scrivere. Tre libri sono già usciti e due sono di prossima pubblicazione. Il primo che ho scritto, è un’autobiografia, dove si parla anche di quel Verona-Napoli. Una profonda ferita mai sopita». Impossibile dargli torto.
Enrico Brigi