Il loro ritrovo abituale era in piazza Bra, al bar Motta. Oppure alla birreria Forst. La sede del loro movimento era in via Scudo di Francia e successivamente in vicolo Santa Caterina. Ma il luogo simbolo per i loro incontri era la palestra di arti marziali di via Sabotino. Frequentata anche da alcuni ufficiali dell’esercito. Anche se il vero addestramento militare del gruppo si svolgeva in Alta Val d’Illasi, dopo Bolca, al confine con il Vicentino. Lì i ragazzi che sognavano il golpe sparavano e utilizzavano le bombe artigianali da loro stessi fabbricate. I ragazzi sono quelli del movimento politico Ordine Nuovo (On), sciolto per decreto nel 1973 dal ministro degli interni Paolo Emilio Taviani. Una ventina di fascisti che alla fine degli anni ’60 primi anni ’70 avevano poco più di 18 anni, che non accettarono la scelta di Pino Rauti di rientrare, nell’autunno del 1969, sotto le ali protettrici del Msi di Giorgio Almirante. Gli ordinovisti scaligeri – guidati dal veronese Roberto Massagrande e dal mantovano Roberto Besutti – scelsero di non cedere al “sistema democratico”. Per loro il modello di riferimento rimase la Repubblica sociale italiana uscita dai 18 punti del Manifesto di Verona. On scaligero rappresentò il bacino da cui il terrorismo di destra pescò la manovalanza per alcuni dei peggiori attentati della storia italiana. Almeno queste sono le ipotesi investigative avanzate dai magistrati di Milano e di Brescia, che da decenni si stanno occupando di trovare i colpevoli delle stragi del 12 dicembre 1969 e del 28 maggio 1974: piazza Fontana e piazza della Loggia. Molti veronesi sono all’oscuro della loro storia. La storia eversiva che ha attraversato come una vena carsica questa città, culla e laboratorio dell’eversione nera. Ignoriamo che solo il fato benigno ha evitato che la stazione di Porta Nuova si trasformasse in un grande cratere di morte, anticipando di ben 10 anni la strage alla stazione di Bologna. Il 28 agosto 1970, infatti, fu rinvenuta nella sala passeggeri della stazione ferroviaria una valigia abbandonata da cui proveniva un ticchettio di orologio. Notata da un sottufficiale della Polfer, fu portata in un luogo isolato dove esplose un’ora dopo. Poteva essere una carneficina. E pochi, pochissimi ricordano l’attentato al palazzo dell’agricoltura di Verona nell’aprile del 1969 o l’incendio al negozio Funny di Mantova. O le aggressioni fasciste alla facoltà di Magistero nel 1971, con tre studenti di sinistra finiti all’ospedale. Un elenco, parziale come si vedrà, delle azioni eversive degli “ordinovisti” scaligeri. Gli stessi chiamati a rispondere ai mille interrogativi dei magistrati bresciani, convinti che l’attentato che provocò 8 morti e 102 feriti sia stato concepito in riva all’Adige. Per questo hanno iscritto nel registro degli indagati per strage due veronesi: Marco Toffaloni e Roberto Zorzi (entrambi rifugiatisi all’estero, il primo in Svizzera, il secondo negli Stati Uniti). Un gruppo, quello di On, di cui facevano parte anche Claudio Bizzarri (che alcune ricostruzioni giornalistiche individuano come il famoso “paracadutista”, che per il magistrato Guido Salvini rappresenta una delle figure centrali nell’attentato alla Banca dell’agricoltura di Milano); Giampaolo Stimamiglio (le cui confessioni del 2010 hanno aperto squarci luminosi sull’attività eversiva di On di Verona); Umberto Zamboni; Claudio Lodi; i fratelli Enzo e Walter Simone; Giuseppe Venezia de Filippi; Fabrizio Starbeni; Danilo Valerio; Paolo Siliotti; Giuseppe Fisanotti. E il professor Francesco Barbarani, docente a Economia e commercio e studioso di esoterismo. Solo per citarne alcuni. Toffaloni e altri li ritroveremo anche in una delle storie più efferate della Verona recente: il gruppo Ludwig. Ma questo è un capitolo ancora tutto da raccontare.
di Alessandro Farina