Negli spazi di Eataly Art House, in via Santa Teresa a Verona, fino al 30 novembre è visitabile “Warhol Schifano. Photos & Polaroid” una proposta che pone a confronto due esponenti della Pop Art internazionale: l’italiano Mario Schifano e l’americano Andy Warhol. Il percorso espositivo, curato dal critico Luca Beatrice con l’assistenza di Giorgia Achilarre, mette in scena oltre quaranta fotografie, alcune prodotte e ritoccate a mano da Mario Schifano nella seconda metà degli anni Ottanta del Novecento e altre scattate da Andy Warhol tra il 1966 e il 1984. All’allestimento si affianca un calendario d’incontri destinati al territorio pensati per approfondire il dialogo sui diversi linguaggi utilizzati dai due artisti e capaci di offrire uno spaccato inedito sul contemporaneo. Eataly Art House non è nuova a questi racconti fotografici basti pensare alle passate mostre “Staged” dell’olandese Anton Corbijn (biografo visivo delle più grandi stelle del cinema, della musica e dell’arte contemporanea) e “Photo&Food. Il cibo nelle fotografie Magnum dagli anni Quaranta a oggi” (racconto per immagini sul nostro modo di alimentarci considerando aspetti simbolici, sociali ed economici).
Nell’attuale progetto “Warhol Schifano” le rappresentazioni diventano occasione concreta per unire la ricerca pittorica con quella fotografica attraverso un viaggio visuale reso tangibile dall’utilizzo della macchina fotografica Polaroid. Schifano, affascinato dalle nuove tecnologie, dalla sperimentazione e dalla pubblicità, negli scatti non si preoccupa dell’inquadratura e della messa a fuoco. Le sue creazioni (catturate dalla televisione perennemente accesa o da improvvisate modelle ospitate nel suo studio) sono un prodotto “non finito”, da ritoccare con pennellate istintive, nervose ed energiche, utili a ottenere figure originali. Warhol, invece, vede la macchina istantanea come un prolungamento del corpo, uno strumento da avere sempre a disposizione, funzionale a immortalare volti (di personaggi noti o comuni ritratti in primo piano, su sfondo neutro) e produrre immagini in modo seriale. Considerato il testimonial più celebre di Polaroid, l’artista ha spesso fatto diventare le iconiche foto quadrate elementi centrali delle sue opere d’arte pop.
La Polaroid, utilizzata da Schinano e Warhol, ideata dell’americano Edwin Land, è un ingegnoso apparecchio che “disegna la luce” grazie a una cartuccia interna con fogli sensibili e una pellicola impregnata di sostanze reagenti che consentono di ottenere, in circa un minuto, scatti unici e materialmente pronti alla visione. La distribuzione sul mercato dell’apparecchio risale agli anni Cinquanta e traghetta le persone da un’era nella quale l’arte della fotografia è competenza esclusiva e professionale di pochi a uno scenario nuovo, in cui la produzione delle immagini riconduce a un’esperienza quotidiana, diffusa e tecnicamente semplice, preludio, in un certo senso, alla nostra attuale realtà digitale. Con una differenza: mentre la vita in diretta raccontata dalla Polaroid regala una concretezza e un’unicità che solo gli oggetti tangibili sanno proporre, la contemporaneità digitale (con la molteplicità di scatti a raffica che le apparecchiature odierne consentono di immagazzinare) ci sta esponendo a un ordine percettivo rivolto all’immaterialità fluida. Le suggestioni di “Photos & Polaroid” riportano, invece, a quel “diario visivo” che Andy Warhol descrive come bisogno di selezionare e immortalare le situazioni della vita per ricordarle e sedimentarle utilizzando un “mezzo tecnico perfetto” capace di “registrare le emozioni e farci sapere dove ci troviamo”.