Egregio direttore, leggo che nel mondo delle grandi piattaforme tecnologiche prosegue il periodo di crisi con conseguente riduzione di posti di lavoro. Si sta sgonfiando la bolla tecnologica? A fare i conti con le difficoltà economiche è ancora Spotify, che dopo i tagli di gennaio licenzierà altre 200 persone, oltre ad aver chiuso anzitempo il contratto con Meghan per scarsa produttività appunto di podcast. Come si spiega il fatto che un colosso entrato ormai nella nostra vita decida di ridurre la divisione dei podcast, considerati la nuova moda?
Ettore Trivellato
Da Google a Microsoft e Facebook, Amazon, Netflix e ora anche Spotify sarebbe il caso di dire che la pacchia è finita. Durante il periodo del Covid c’è stata una esplosione di richieste di servizi digitali: dall’e-commerce alle news on line, dai film in streaming alla musica fino ai podcast. Questi ultimi sembravano la nuova frontiera del giornalismo. Un ascolto comodo, in qualunque momento della giornata, per editoriali, articoli dibattiti e così via. A gennaio, Spotify aveva licenziato circa 600 lavoratori, ossia il 6% delle risorse a livello globale. La mossa, decisa per ottimizzare la gestione dei podcast riducendo le uscite, porterà sotto lo stesso tetto Parcast e Gimlet, i due network di produzione di contenuti digitali e podcast, acquisiti nel 2019. Sembra la conferma che il giornalismo digitale non ha ancora trovato una strada definitiva: si sperimenta ancora molto nel tentativo di trovare una soluzione alla carta. Ma l’unica carta vincente, declinata come si vuole, si dimostra ancora una volta la notizia, necessaria e vitale nella vita di un Paese.