Più ombre che luci per le aziende del terziario veronesi nel primo semestre dell’anno: è quanto emerge dall’Osservatorio economico-occupazionale creato da Confcommercio Verona con l’obiettivo di monitorare il trend delle imprese dei settori commercio, servizi e turismo della provincia.
Il campione che nelle scorse settimane ha risposto a questionari elaborati da Confcommercio Verona è costituito per il 44% proprio da imprese del settore turismo e ristorazione; il settore dettaglio copre il 29% delle intervistate (per il 22% dettaglio di prodotti per la persona, per il 7% prodotti alimentari e per la casa); a seguire le aziende del settore servizi (18%) e ingrosso (9%).
Al 30 giugno, le aziende definiscono il proprio stato di salute in prevalenza (42%) “discreto”, mentre nel 34% dei casi viene definito “non buono” (27%) o “pessimo” (7%);
il 24% lo considera “ottimo” o “buono”. Il saldo (percentuale buono/ottimo rispetto a non buono/pessimo) è di conseguenza negativo (-10 punti percentuali).
“L’analisi del nostro Osservatorio semestrale – sottolinea il presidente di Confcommercio Verona, Paolo Arena – conferma da un lato le pesanti conseguenze della pandemia sulle aziende del terziario di mercato, dall’altra la straordinaria resilienza e abnegazione dei nostri imprenditori”.
“Le aziende del commercio, turismo, servizi – aggiunge il Dg di Confcommercio Verona Nicola Dal Dosso – hanno bisogno di essere più e meglio sostenute, soprattutto a livello di governo centrale, nel difficile percorso verso la ripartenza, confidando non ci siano ulteriori stop and go causati dalla pandemia”.
Non sono incoraggianti, evidenzia l’Osservatorio di Confcommercio Verona, le risposte ottenute dai settori turismo (per il 50% degli interpellati la condizione non è buona) e ristorazione (47%). Anche per quanto riguarda i servizi, il dato non è confortante: il 38% delle imprese dichiara uno stato di salute non buono/pessimo. Eterogenea la situazione nel dettaglio prodotti per la persona, dove il saldo tra risposte positive e negative raggiunge un +10 in termini assoluti a fronte comunque di un 23% di aziende in condizione non buona. Diversa invece la situazione nel dettaglio alimentari e casa (solo il 10% dichiara una condizione di salute non buona/pessima) e commercio all’ingrosso (0%), categorie che, anche durante i lockdown, hanno continuato a lavorare.