Miteni era a conoscenza delle problematiche di rischio sanitario e ambientale collegato ai Pfas e della presenza delle sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate nella falda acquifera sottostante il sito industriale. Non solo: Miteni non ha mai comunicato il fenomeno inquinante agli enti preposti.
Lo ha ribadito nella sua testimonianza il maresciallo maggiore del Noe di Treviso, Manuel Tagliaferri, durante il processo Pfas, ripreso oggi presso la Corte d’Assise del Tribunale di Vicenza dopo la pausa estiva.
Stando a quanto dichiarato dall’investigatore, Miteni, che aveva nella propria disponibilità tecnologie e informazioni adeguate a rilevare e analizzare la presenza ambientale e biologica dei Pfas, si è limitata ad adottare misure non risolutive e non interdittive della propagazione della contaminazione, con la mancanza di qualsivoglia autorizzazione funzionale alla bonifica. Inoltre, l’industria si è limitata ad avanzare al Genio Civile di Vicenza una richiesta finalizzata alla terebrazione dei pozzi e all’emungimento dell’acqua a fini produttivi, senza alcun riferimento esplicito alla contaminazione, presentata da Miteni come ipotetica ed eventuale. L’avvocato Marco Tonellotto, che con i colleghi Angelo Merlin e Vittore d’Acquarone assiste Acque del Chiampo, Viacqua, Acquevenete e Acque Veronesi, costituitesi parti civili, commenta così: “Quanto emerso oggi dalla deposizione del maresciallo Tagliaferri conferma ancora una volta la nostra tesi, secondo la quale Miteni era a conoscenza della portata del fenomeno inquinante causato dai suoi processi produttivi e non ha agito per rimuoverlo, peraltro senza mai comunicare il problema agli enti preposti, fra cui gli operatori idrici”.
Gli imputati sono 15 manager di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati a vario titolo di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari.