Continua l’impegno del sistema sanitario regionale non solo per monitorare le condizioni di salute della popolazione residente nelle aree contaminate dai PFAS, ma anche per approfondire le conoscenze su un agente inquinante le cui conseguenze, per l’uomo, sono almeno in parte ancora da approfondire. Con questo obiettivo, stanno partendo all’Università degli Studi di Padova due nuovi progetti di ricerca, finanziati dalla Regione Veneto per un importo complessivo di circa 270 mila euro e realizzati tramite il CORIS, il Consorzio per la Ricerca Sanitaria della Regione Veneto.
“Nonostante lo strenuo impegno di prevenzione e cura per il Covid – fa notare l’Assessore alla Sanità della Regione Manuela Lanzarin – continua il lavoro anche su questo fronte così complesso e importante per la salute dei cittadini residenti nell’area interessata. Si tratta di una nuova iniziativa sulla quale abbiamo investito volentieri una somma significativa, a dimostrazione che, contrariamente a certe polemiche circolate, la Regione non ha mai accantonato il problema sul quale si sta lavorando con intensità”
«Ogni sei mesi – spiega Teresa Gasparetto, Amministratore Delegato di CORIS – invitiamo i ricercatori di tutto il Veneto a sottoporci le loro proposte per nuovi progetti di ricerca, che vengono quindi valutate dal nostro Comitato Tecnico Scientifico. Per i progetti che ricevono il punteggio più alto, come Consorzio ci impegniamo quindi a ricercare i finanziamenti necessari. Questi due progetti erano risultati primi classificati tra quelli ricevuti in occasione dell’ultima sessione di presentazione, a dicembre, e li abbiamo quindi sottoposti alla Regione Veneto che ha deciso di finanziarli».
Il primo progetto, della durata di 12 mesi, è stato presentato dal prof. Carlo Foresta, del Dipartimento di Medicina, con l’obiettivo di indagare l’Effetto dell’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sui livelli circolanti e sulla funzionalità della vitamina D. «Precedenti ricerche condotte nell’ambito della salute scheletrica – spiega il prof. Foresta – hanno permesso di dimostrare sperimentalmente che i PFAS interferiscono con il recettore della vitamina D, inducendo una ridotta risposta delle cellule scheletriche alla vitamina D stessa, che si manifesta con una minor mineralizzazione ossea. Questi risultati suggeriscono un possibile ruolo per questi inquinanti nel favorire l’insorgere dell’osteoporosi. Infatti, come noto la principale azione della vitamina D è quella di aumentare l’assorbimento del calcio a livello intestinale. L’obiettivo della nostra ricerca è quindi indagare i livelli di vitamina D nella popolazione esposta a PFAS, al fine di valutare da un lato l’eventuale associazione tra questi inquinanti e bassi livelli di vitamina D, e dall’altro individuare precocemente quei soggetti maggiormente a rischio di sviluppare l’osteoporosi come conseguenza di un prolungato stato ipovitaminosico, presumibilmente mediato dall’azione dei PFAS sul recettore della vitamina D stessa».
Il secondo progetto finanziato è stato proposto invece dalla prof.ssa Cristina Canova, del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica, e s’intitola “Effetti dei PFAS sulla salute: uno studio trasversale e di follow-up nella comunità e nei lavoratori esposti a PFAS della Regione Veneto.”.
In questo caso lo studio, che avrà una durata di 24 mesi, si propone di analizzare vari aspetti attraverso i dati raccolti nell’ambito del programma di screening attivato dalla Regione Veneto: «Indagheremo – spiega la prof.ssa Canova – le possibili conseguenze dei PFAS in fasce d’età aggiuntive rispetto a quelle già studiate, le conseguenze sui lavoratori, ma anche il tempo necessario all’organismo per eliminare i PFAS e se, una volta eliminati, i loro effetti sulla salute diminuiscono, e in che misura, oppure saranno comunque permanenti. Questo studio si basa sul piano di sorveglianza regionale e rappresenta la prosecuzione di un lavoro che abbiano iniziato già tre anni fa, tramite un altro progetto sempre finanziato tramite il CORIS. Molte risposte devono ancora essere trovate, basti pensare agli effetti a lungo termine che per forza di cose richiedono tempo per essere studiati. I risultati di questo progetto saranno utili per rinnovare il programma di sorveglianza sanitaria offerto alla comunità e ai lavoratori esposti, migliorando la valutazione del rischio e identificando le sottopopolazioni a maggior rischio che potrebbero richiedere una sorveglianza e / o un intervento più intensivi».