“Lo studio dello Spi Cgil Veneto sulle pensioni di vecchiaia del settore privato rappresenta uno strumento di analisi indispensabile per comprendere la condizione socio economica di decine di migliaia di pensionate e pensionati venete e veronesi. Questi numeri dovrebbero essere presi a riferimento per qualsiasi politica in campo sociale a tutti i livelli, a partire da quello comunale e regionale”. Così il Segretario generale dello Spi Cgil Verona Adriano Filice, commenta l’elaborazione effettuata dallo Spi regionale su report dello Spi nazionale. “I dati, circoscritti alle pensioni di vecchiaia, frutto cioè di contribuzione da lavoro, con l’esclusione delle pensioni di natura assistenziale che riguardano per lo più invalidi civili, rendono conto di come il sistema attuale non sia in grado di assicurare condizioni di vita dignitose a quasi la metà di ex lavoratori o ex lavoratrici, in particolare alle donne, perché non ha mai riconosciuto il valore del lavoro di cura che quasi sempre porta le donne ad interrompere o sospendere le carriere lavorative generando buchi contributivi insanabili”. “L’indagine dello Spi Cgil rappresenta inoltre un monito per la condizione delle giovani generazioni di lavoratori e lavoratrici che dal 2015 ad oggi si sono affacciate sul mondo del lavoro, il cui futuro pensionistico è minato dalla precarietà che genera buchi contributivi altrettanto grandi che nessuno pensa seriamente a colmare” continua Filice. I numeri. Nel veronese nel 2023 sono state pagate 263.602 prestazioni pensionistiche di cui 166.236 (il 63,1%) sono pensioni di vecchiaia (categoria che comprende anche le anticipate e i prepensionamenti). Tra quest’ultime, frutto di contribuzione lavorativa attiva, l’importo medio lordo nel 2023 è stato di 1.210 euro, con un enorme divario tra uomini (1.528 euro) e donne (812 euro). Il 42,7% delle pensioni di vecchiaia (pari a 71.117 mila pensioni su 166.236) non arriva ai mille euro lordi mensili. E’ pur vero che in linea teorica un pensionato può beneficiare di più di una pensione, ma la maggioranza dei percettori di pensione di vecchiaia si trova a doversela cavare con un unico assegno. Grandi sono anche le differenze territoriali: negli importi medi delle pensioni di vecchiaia Verona si posiziona penultima provincia nel Veneto davanti soltanto a Rovigo. Un risultato negativo spiegabile forse con l’alto numero di prepensionamenti oppure la diversa vocazione produttiva dei territori. Guardando la “classifica” delle pensioni comune per comune si nota infatti che territori di consolidata vocazione manifatturiera o attivi nella fascia più ricca dei servizi come la Valpolicella, il capoluogo, la cintura Est, l’entroterra lacustre, si posizionano mediamente sopra alla media provinciale. La Lessinia e una parte della Pianura Veronese presentano mediamente gli importi più bassi. “A quanto espresso da questi numeri occorre aggiungere l’influenza negativa esercitata dall’inflazione negli ultimi anni, che ha eroso ulteriori risorse ai più deboli, e l’azione livellatrice delle politiche del Governo che in tempi di alta inflazione ha limitato la rivalutazione delle pensioni attorno ai 2 mila euro, e ora, stando agli annunci, si appresta a congelarla del tutto. Scelte dannose per i pensionati, per il Paese e i nostri territori, che si ripercuotono sulla domanda interna e affermano il principio inquio e sbagliato di trattare i pensionati come il bancomat del governo di turno” conclude Filice.