Nella notte fra il 1° e il 2 novembre ’75 veniva assassinato Pier Paolo Pasolini (Bologna 1922 – Lido di Ostia 1975), scrittore e regista morto a 53 anni in circostanze in parte oscure.
Brutalmente percosso, fu travolto dalla sua auto sulla spiaggia di Ostia. Una passante rinveniva il corpo martoriato verso le 6:30 di mattina. Unico imputato dell’omicidio Pino Pelosi, diciassettenne di Guidonia. Secondo la sentenza l’assassino avrebbe agito durante una lite scaturita per le pretese sessuali di Pasolini, la cui vita affettiva e sessuale fu piuttosto travagliata come, del resto, quella politica. E quest’ultima, secondo alcune ipotesi, avrebbe concorso all’omicidio.
Alberto Moravia ritiene che la morte di Pasolini sia stata “al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci. Dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura”.
Un’infanzia difficile vissuta fra Bologna e Casarsa (Pordenone). Un rapporto conflittuale con il padre e il dolore per l’uccisione del fratello Guido Alberto da parte dei partigiani comunisti. Forse l’inizio di un tormento interiore che il poeta proietta sulle vicende storiche del suo tempo e sulla sua arte. Uno stile anticonformista e antitradizionalista, un’indole provocatoria e irriducibilmente volta allo scandalo. Una crisi d’identità nell’esperienza esistenziale. Un’adesione forte al partito comunista nonostante l’espulsione del ’49 per “indegnità morale e politica” legata ad atti osceni omosessuali con minori. Una militanza viscerale per cui dichiarava: “Voto comunista perché al momento del voto, come in quello della lotta, non voglio ricordare altro”. Immerso in una logica di rivoluzione e nel libertarismo sessuale, ritiene di non poter pienamente contare sull’ideale del proletariato, troppo debole innanzi ai nuovi modelli neocapitalistici. “La maggioranza – scrive Pasolini – ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo”.
Non risparmia una profonda critica alle rivolte giovanili del ’68 e condanna la legalizzazione dell’aborto. Riflette sul consumismo della società attraverso le lenti del potere e del piacere. La “permessività sessuale” – di cui fa icona alcune opere, ritiene sia “tacitamente voluta nelle abitudini dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso – spiega – si è impadronito dalle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura”.
Una figura controversa, Pasolini, tra processi giudiziari per oscenità e provocazioni alla riflessione su molti temi. Una lezione di vita: dal turbamento interiore dell’uomo alla mercificazione del corpo. Una lezione che, oggi, il suo corpo ferito ricorda.