Giuseppe Tomasi di Lampedusa disse una volta che ciò che l’uomo ha in potenza in quanto essere razionale è leggere Pascal. Blaise Pascal è stato uno dei grandi filosofi francesi dell’età moderna, famoso per il suo rapporto con la fede e per l’approccio asistematico nella costruzione della sua filosofia: l’opera più importante di Pascal, infatti, si intitola Pensieri, e rimanda a un modo disorganico, ma non privo di senso, di esprimersi, che rimanda, per esempio, ai Ricordi di Guicciardini o agli Essais di Michel de Montaigne.
Pascal è famoso soprattutto per la sua proposta di razionalizzare l’adesione alla fede tramite la celebre scommessa. L’intento di tale scommessa era rendere accettabile l’idea secondo cui la fede garantisce, tramite il sistema retributivo, la corretta messa in pratica di un sistema etico.
Secondo Pascal, “conviene”, se non credere che Dio esista, almeno comportarsi come se esistesse: se io mi comporto come se Dio non esistesse, ma Dio esiste, allora avrò ottenuto un bene incerto (come possono essere i piaceri carnali e sregolati perseguiti in vita), ottenendo però un male certo (ossia, la dannazione eterna nella vita oltremondana); invece, se io mi comporto come se Dio esistesse, ottengo comunque una vita regolata secondo virtù, e in aggiunta un bene certo come può essere la beatitudine eterna.
Una proposta di questo tipo risponde alle logiche prodotte in ambito francese nel Seicento, nell’ambito soprattutto del giansenismo e del cosiddetto circolo di Port-Royale. Pascal fu però noto anche per un’altra posizione, assai più intimistica. In un’epoca in cui l’universo stava mutando forma – come avviene grazie ai calcoli di Keplero, che rompono la perfezione circolare del cosmo aristotelico-tolemaico – e natura, tramite l’irruzione dell’infinità nella concezione di Giordano Bruno, Pascal si pone in un senso completamente antitetico. Pascal esprime tutta la paura e l’inquietudine dei tempi di fronte allo scardinamento delle certezze: da centro dell’universo, la terra veniva a essere ormai uno dei pianeti, probabilmente neppure il più importante, disperso e vagabondo in un universo di cui non può essere la misura, poiché non c’è più misura possibile per l’infinito.
Questo significa, chiaramente, che neppure per l’uomo può più esserci una qualche pretesa di nobiltà. L’uomo misura di tutte le cose, l’antrpocentrismo cosmico, finisce con l’universo infinito, e Pascal trema di fronte all’abisso: l’uomo è chiuso tra due infiniti, l’infintamente grande e l’infinitamente piccolo, e sospeso tra i due.
EffeEmme