OverKind è una band rock/metal veronese. Il progetto ha avuto inizio nel 2016 nella città scaligera ma è stato ideato a Londra. Finora, la band ha pubblicato 2 LP, “Acheron” (2019) e “Overkind” (2022). Inoltre, il gruppo ha portato avanti anche una consistente attività live. Nel 2019 ha avuto pure la possibilità esibirsi in vari paesi dell’est Europa, tra cui Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.
A comporre la band sono Riccardo Castelletti (chitarra), Nicolò Fracca (batteria) e i fratelli Zamboni, Filippo (basso) e Andrea (voce e piano). Quest’ultimo ha presentato alla Cronaca il progetto.
Considerando il vostro ultimo LP, com’è cambiato il vostro approccio lavorativo?
“Il secondo album è più completo. Però, ‘Acheron’ fa vedere la parte ruvida, verace dei primi OverKind. Quindi abbiamo un ottimo parere di ambedue. Il primo è un concept album sull’’Inferno’ della ‘Divina Commedia’. È una versione attualizzata. Ogni canzone è un girone. Il secondo disco, invece, non è un concept album. All’interno possiamo trovare parecchi colori: ballad, canzoni più cattive e potenti, power ballad. Abbiamo voluto diversificare ancora di più, senza snaturarci. ‘Overkind’ nell’inglese britannico vuol dire sopra il genere. È, alla fine, la nostra firma. Non vogliamo seguire schemi, etichette”.
Come ha influito Londra sul progetto?
“In quel viaggio, di circa un anno, io e mio fratello abbiamo fatto anche una ricerca della lingua e della musica. Allo stesso tempo, abbiamo capito che il genere che facevamo precedentemente, il progressive metal tecnico e puro, non ci convinceva in toto. Era un genere di nicchia e ci limitava a livello compositivo. Quindi abbiamo capito che forse il modern metal poteva essere la soluzione”.
Quali sono le vostre influenze?
“Sicuramente gli Alter Bridge, sia a livello di voce che di genere musicale. Siamo molto simili, anche se con differenze in ambito strumentale, ovvero noi abbiamo anche il pianoforte. Però, a livello chitarristico, i riff e gli assoli sono ben lavorati e c’è anche molta melodia, non solo tecnicismi. Una cosa a cui volevamo puntare. Poi pure a livello di batteria c’è un grosso lavoro, impegno, che non è del classico modern metal”.
La canzone del vostro “catalogo” che più vi rappresenta?
“’186 Steps’, per come è stata scritta, prodotta e per il motivo per cui è stata composta. Ha anche ottenuto buone risposte, sia da noi della band che dagli ascoltatori. Ci sono parti melodiche e acustiche che successivamente diventano distorte e quindi si evolvono. Non è tanto di nicchia’”.
Parliamo ora di live: cosa cambia quando ci si esibisce all’estero?
“Una differenza, che però è la stessa che abbiamo noi italiani quando vediamo una band estera qui, è maggiore curiosità e rispetto, soprattutto da parte dell’ascoltatore. L’ascoltatore sa che tu sei arrivato dall’estero e non conosci la lingua. Quindi l’unica cosa che ha per comunicare è ascoltare le tue canzoni. È una cosa fantastica che dovremmo rifare perché ci ha molto colpito. Poi, nei posti dove siamo stati c’è una grande bontà. Dopo il concerto ti offrivano un bicchiere, la loro camera per lavarti o mangiare”.
Come è nata l’idea di rappresentare lo yin e lo yang nella copertina di “Overkind”?
“È stata un’idea di Filippo. Si è pensato di unire il bene e il male, il bianco e il nero per far capire a livello visivo tutti i colori che si possono trovare nel disco. E unire tutto al logo è stato affascinante. È bello poi che qualche persona riesca a trovare quel simbolo, e magari collegarlo a una determinata canzone dell’album”.
Attualmente in cosa siete impegnati?
“Stiamo facendo un tour unplugged per la prima volta. È molto affascinante perché è tutta un’altra situazione, un altro ambiente. Stiamo imparando parecchio”.
Giorgia Silvestri